Non di rado chi ne ha bisogno, si avvicina ai trattamenti psichiatrici con forti timori, considerandoli “terapie pericolose”, invasive e potenzialmente dannose nei riguardi dell’integrità psicofisica.
Bisogna specificare che in realtà tali ansie sono frutto della comunicazione errata imposta dai mezzi di comunicazione e di coloro che hanno poca dimestichezza con tali trattamenti.
Purtroppo chi si avvicina per la prima volta alla cura psichiatrica, resta inamovibile riguardo la “volontà di farcela da solo” e il “desiderio di non diventare dipendente dai farmaci”.
Questo avviene sia perché convinti da altri “esperti” del settore a non assumere psicofarmaci sia perché l’ambiente circostante tende a dissuadere dall’assunzione.
Piuttosto bisogna cercare di non diventare dipendenti verso le benzodiazepine dato che provocano assuefazione e dipendenza nell’utilizzo a lungo termine.
Solitamente vengono assunte – in momenti di particolare tensione e di crisi – nell’errata convinzione che il momentaneo benessere e l’effetto calmante, sia sempre utile e con la stessa intensità e s’ignora che non solo il farmaco non agisce sempre con la stessa efficacia ma “insinua” una dipendenza che poi difficilmente potrà essere risolta in tempi brevi.
Di tutti gli altri psicofarmaci, invece, si può tranquillamente sostenere che non creano dipendenza, anzi riequilibrano alcuni neurotrasmettitori di cui il cervello è carente nel momento in cui si presentano i sintomi.
Il ripristino di queste sostanze migliora considerevolmente la qualità della vita e dà la possibilità di acquisire nel tempo nuove modalità di interazione con l’ambiente.
Ma c’è un altro aspetto da tener presente: la volontà di “farcela da soli”.
Purtroppo l’utilizzo di psicofarmaci viene interpretato come un “fallimento” dovuto ad una debolezza personale ma l’assunto di per sé è improponibile, sarebbe come chiedere ad un iperteso di abbassarsi la pressione con il pensiero o ad un diabetico insulino-dipendente che voglia mantenere la glicemia bassa, pur non producendo insulina, di utilizzare metodiche che non siano contemplate dalla medicina ufficiale.
Sia ben chiaro che le patologie psichiatriche sono patologie né più né meno delle altre e per questo motivo è importante curarle con trattamenti specifici che possano ricondurre alla normalità o almeno ristabilire un equilibrio
E’ importante dunque tenere a mente che non vi è debolezza alcuna nel farne uso, anzi ci si incammina verso un percorso di accettazione e consapevolezza della malattia.
Invece la protervia non voler utilizzare psicofarmaci per la risoluzione di un problema serio e soprattutto senza il supporto di un terapeuta, non fa che cronicizzarlo, peggiorando la sintomatologia.
Inoltre ciò che rende “impraticabili” questi farmaci, nell’immaginario collettivo, sono gli effetti che questi procurano, soprattutto collaterali e così la paura e l’insistenza (talora immotivata), inducono in errore il medico, facendo ridurre la dose di farmaco quando addirittura non è il paziente a ridursela da solo.
Ma di fatto la riduzione della dose quando è al di sotto di quella minima terapeutica, allora è realmente causa di una serie di effetti collaterali imprevedibili.
E’ fondamentale che il paziente affetto patologia psichiatrica si affidi medico curante, seguendo alla lettera le indicazioni e non trascurando i controlli periodici.
E’ inoltre accertato che chi segue correttamente il trattamento psichiatrico da un minimo di sei fino a due anni, difficilmente presenterà delle ricadute e si registreranno anche sostanziali e duraturi cambiamenti dell’umore. Evitate trattamenti al di sotto dei sei mesi.