La scomparsa di Steve Jobs ha privato il mondo del messaggero, non del messaggio di una vita che oggi più che mai continua ad ispirare migliaia di persone in tutto il mondo che in quell’invito a credere in se stessi ed a sognare del fondatore della Apple vede finalmente una via d’uscita dai tanti richiami al conformismo che ci circondano nella voce dei mediocri, di chi si adatta, di chi cambia per non morire, per essere amato e non si accorge che rinnegando se stesso e le sue passioni è già morto nel profondo.
Oggi vogliamo ricordare il discorso di Jobs all’Università di Stanford, 15 minuti che racchiudono un’esistenza intera, tanto breve quanto intensa e che si basano su tre storie personali. Discorsi spesso retorici ai neolaureati che solitamente non vengono ascoltati con tanto interesse e non catturano l’attenzione del pubblico. Ma nessuno sbadigliava, nessuno, nemmeno tra i più anziani, sonnecchiava. Tutti appaiono rapiti da quel racconto di vita che è anche un addio alla vita, al proprio tempo che sta per scadere per via della malattia.
Una narrazione che sfrutta le storie, ottimo veicolo per un discorso, soprattutto se strutturate nella formula del tre, potente strategia retorica: tre aggettivi, tre esempi, tre punti. La prima storia raccontata da Jobs si incentrava sull’abbandono del Reed College. Più esattamente, smise di pagare le tasse scolastiche per le classi che non gli piacevano, ma rimase nel campus, frequentando lezioni di calligrafia e le innovazioni introdotte da Jobs anni dopo nel primo computer Macintosh ne sono la diretta testimonianza. Jobs ha detto al suo pubblico di unire i puntini nella vita, riconoscendo che non si può farlo guardando avanti. Si può farlo solo guardando indietro, con la fede e l’ottimismo che un giorno i puntini si connetteranno.
La seconda storia che ha raccontato riguardava il licenziamento dalla Apple Computer, la società che aveva co-fondato. Pur ferito nel profondo, si rese conto di amare ancora quello che faceva e, semplicemente, continuò a farlo, fondando la Pixar e successivamente NeXT, che è stata poi acquisita da Apple. Succo di questa seconda lezione è trovare qualcosa che ci piace fare perché è l’unico modo per fare un buon lavoro, amare quello che facciamo.
La terza storia è stata la sua esperienza con il cancro al pancreas, che ha fatto della propria mortalità più di un’astrazione. Secondo Jobs, “La morte è molto probabilmente la più grande invenzione della vita, perché consente di eludere una grande trappola ovvero il pensiero di avere qualcosa da perdere”. Jobs ha riferito che si chiede spesso: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, farei quello che sto per fare oggi?” Quando la risposta è no per troppi giorni di fila, è tempo di cambiare qualcosa nella propria esistenza. E lui, cambiando la sua esistenza, ha cambiato anche le nostre. Addio Steve, ci mancherai.
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