Oggi mi sono imbattuta in una notizia che ha colpito dritto al mio cuore. Una donna americana incinta ha deciso di partorire con diverse settimane di anticipo per permettere al marito, malato terminale, di poter abbracciare sua figlia prima di morire. Un gesto commovente, ma che lascia l’amaro in bocca.
La vita scorre, nonostante tutto e tutti, e così è anche per la piccola bimba, che riposa nella sua culletta senza sapere quanto dolore ha accompagnato la sua nascita, ma ci sarà tempo per imparare a soffrire.
Alcuni mesi prima, il padre aveva saputo di aver vinto la sua battaglia contro il tumore: fibrosi polmonare, una notizia meravigliosa, sfortunatamente, però, gli 8 mesi di chemioterapia, che pure avevano debellato il male, avevano letteralmente disintegrato i suoi polmoni non riuscivano più a inspirare e a trasmettere l’ossigeno al corpo.
Che paradosso, non vi sembra? scoprire di avere finalmente cancellato il tumore e allontanato lo spettro della morte, per poi ritrovarsi con pochi giorni di vita perché la chemio non ha distrutto solo il cancro, ma anche i polmoni. E allora, se doveva andare in questo modo, non era meglio non sottoporsi ad alcun ciclo di cure e godersi quel tempo? L’altra parte di me, vorrebbe rispondere che almeno, ha provato a riprendersi la vita.
La moglie, alla quinta gravidanza, ha deciso di partorire anzitempo, in modo da dare all’uomo la possibilità di vedere la bimba almeno una volta e di sentirsi padre, anche se per per poco. Quando la piccola è nata l’ha tenuta in braccio quasi per 1 ora, momenti unici, nel vero senso della parola, perché dopo qualche giorno l’uomo è andato in coma.
Quando la moglie si è accorta che il suo cuore stava rallentando e che stava smettendo di respirare, ha preso la figlia e l’ha messa tra le sue braccia, tenendogli la mano fino all’ultimo instante di vita.
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