Escono sempre tardi dall’ufficio. Si portano il lavoro a casa. Parlano sempre di carriera. Cercano di trasformare i loro hobby in modi per guadagnare. Odiano perdere anche nello sport. Sono i workaholic, i malati di lavoro. Vittime di una patologia che è difficile percepire, perché non è legata ad abitudini condannate dalla società, ma che può avere conseguenze molto gravi.
Spesso si indicano i più accaniti stacanovisti come modelli da imitare. Attenzione: potrebbe essere un errore gravissimo. Il lavoro è una parte fondamentale dell’identità della persona, ma non deve assolutamente trasformasi in ossessione.
Un tempo il fenomeno era considerato una prerogativa maschile, ma probabilmente a causa dell’importanza del lavoro all’interno del riconoscimento dei diritti delle donne, si sta estendendo anche tra il gentil sesso. Viene inserito fra le patologie ossessivo-compulsive legate a una dipendenza, come ad esempio lo shopping compulsivo. Il fatto che l’oggetto della propria fissazione non sia una sostanza nociva o illegale rende spesso difficile considerare determinati comportamenti come una malattia e quindi questo può creare problemi sia nel diagnosticare il disturbo sia nel correggerlo.
Eppure le conseguenze sono devastanti, incidendo profondamente sulla salute psicofisica dell’individuo e minando le proprie relazioni interpersonali: basti pensare che molto spesso un workaholic non è capace di superare una crisi matrimoniale, raddoppiando le possibilità di arrivare al divorzio.
Per poter distinguere il “troppo lavoro” dalla work addiction è necessario riconoscere lo sviluppo della sintomatologia secondo tre fasi. La fase iniziale si caratterizza per un aumento del tempo dedicato al lavoro e per un deciso cambiamento dello stile di vita. A questo stadio non è possibile individuare evidenti disturbi psichici o fisici, anche se il soggetto può manifestare stress, mal di testa e mal di stomaco.
La seconda fase, detta critica, è quella della dipendenza vera e propria. Aumenta la quantità di lavoro accumulato, l’aggressività verso i colleghi e la difficoltà a rispettare altri impegni. Il fisico potrebbe risentirne, rischiando patologie come ulcera, pressione alta ed esaurimento nervoso.
La fase cronica aggiunge a questi sintomi un ulteriore allargamento del tempo dedicato al lavoro (la notte e durante i giorni festivi), un atteggiamento molto duro verso i colleghi che non condividono uno stile lavorativo simile e l’uso di stimolanti o calmanti.
Attenzione: siete un workaholic che pensa di sacrificarsi per essere ben visto in azienda? Rischiate di fare un grosso sbaglio: oggi il manager stacanovista non è più apprezzato, si preferisce chi dimostra un maggiore equilibrio tra vita personale e lavoro, dimostrando maggiore capacità di gestione dello stress, creatività e flessibilità.
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