Quante volte ci siamo avviliti, boicottati, intimati la resa “Non ce la farai mai anche se ti impegni, non puoi riuscire”. Innumerevoli volte ci siamo ripetuti frasi come questa, può capitare ma non indugiamoci. L’ autocritica svalutativa è uno di quei meccanismi psicologici che se intervengono spesso nella nostra vita diventano motivo di depressione. L’ argomento è stato affrontato nel 2004 da un gruppo di psicologi inglesi, guidati da Paul Gilbert della Mental Health Research Unit del Kingsway Hospital di Derby, e pubblicata sul British Journal of Clinical Psychology. Lo studio evidenzia come questo tipo di autocritica, crei delle dolorose spaccature nella psiche, perché se è vero che una parte di noi ci allontana ansiosamente da una situazione di cui ne paventa (quasi sempre in maniera ingiustificata ) il “pericolo” , dall’altra sussiste – dato che è insita nell’uomo – la volontà e il desiderio di superare un proprio limite. La scelta finale sarà determinata dal confronto/scontro di queste due istanze che ne determineranno l’azione o l’inerzia. Per dare un’idea di questo meccanismo, soprattutto in coloro che soffrono di depressione, alcuni ricercatori hanno applicato la tecnica del role-playing che mostra come il conflitto esploda in maniera evidente. E’ una sorta di psicodramma in cui viene utilizzata la “tecnica delle due sedie” su cui i pazienti sono invitati ad accomodarsi. Una volta occupata la prima, dovranno comunicare le autocritiche svalutative mentre sulla seconda, manifestare il desiderio di riuscita e resistenza. Il conflitto interiore in questo modo si palesa e talora anche molto violentemente: è per i terapeuti è il momento ideale per intervenire e lavorare successivamente sullo sviluppo della capacità di “promozione”, arrivando a contrastare la profonda incapacità e realizzarsi positivamente. Naturalmente non tutte le forme di autocritica sono dannose, anzi la capacità di analisi profonda del sé è – per chi la possiede – una grande risorsa ma non deve tralasciare la propria implicita funzione costruttiva, un atteggiamento responsabile offre la reale possibilità di non ripetere gli errori, quella che invece è perpetrata con disfattismo e vittimismo, oltre a creare un’intensa frustrazione e infelicità, tende a reiterare atteggiamenti sbagliati, ci riduce all’impotenza e alla rabbia.
Ancora più grave tuttavia è la mancanza di questa autoregolazione che se da un lato sconfina l’individuo che ne è privo in una spropositata fiducia in se stesso, nella realtà provoca una grande sofferenza, non trovando attinenza e riscontro nella vita quotidiana. Queste sono almeno le conclusioni del gruppo di ricercatori guidati da Paul Gilbert che dopo aver sottoposto a una serie di questionari psicologici estremamente specifici 250 studentesse, ha potuto costruire e tracciare una vera e propria mappatura delle varie forme di autocritica esistenti. Accade però anche che quando si “falliscono” gli obiettivi, la critica verso se stessi diventi feroce, esponendoci alla vulnerabilità depressiva e dunque è fondamentale mettere in atto azioni che spezzino tale circolo vizioso. Per evitare la rinuncia e l’abbandono di propositi e progetti, è importante che il senso critico diventi un aiuto e non un blocco emotivo, impariamo quindi a setacciare e valutare una per una, le possibili cause del mancato successo e riprendere le fila della nostra vita con fiducia.