Non è assolutamente un caso che in America venga considerato il “surfista del noir“. La decisione ha avuto però i suoi “tempi di maturazione” ed è stata ponderata da Don Wislow, soprattutto, ha deciso che la sua carriera andava indirizzata al profilo di scrittore, dopo essersi impegnato in moltissimi lavori e tutti diversi tra di loro e quindi come attore, guida di safari in Kenya, il regista teatrale, l’investigatore privato.
Ha scritto ben tredici romanzi che hanno fatto innamorare e mandato in visibilio la critica. Il primo del 1991, s’intitolava A cool breeze on the underground e apriva la saga (interminabile) dell’investigatore Neal Carey, durata cinque volumi.
L’ultimo (davvero emozionante), è stato pubblicato pochi mesi fa, il titolo è Savages, ed è la storia – ricca di colpi di scena – di un veterano dell’Iraq che ha a che fare con un sanguinoso cartello di spacciatori messicani.
Purtroppo in Italia ne abbiamo letti pochi: in questi giorni, però sta uscendo per Einaudi, La lingua del fuoco, del 1999, ottavo romanzo dello scrittore.
Un’inchiesta intrigante e intricata e solo a tentoni, con piccoli indizi ed interpretando elementi primari, che il protagonista giungerà infine alla verità sull’intricato caso di Pamela Vale, perita nell’incendio che ha distrutto la villa di famiglia.
Ad indagare per conto della compagnia assicurativa viene interpellato Jack Wade, un tempo valido e solerte funzionario del dipartimeto degli incendi dolosi, finito a sua volta “bruciato” in uno scandalo.
Eppure sarà proprio lui e il suo intuito formidabile a fornirci la chiave di lettura degli eventi che ancora una volta hanno a che fare con storie di mafia e droga ispirate a veri fatti di cronaca che hanno insanguinato e terrorizzato la California, “luogo” amato e d’elezione dell’autore.
Qui, dal vago sapore pulp, troviamo un pò di tutto fra terribili esecuzioni, fiumi di narcodollari e surfisti pistoleri.
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