Molti disturbi psicologici, come le fobie, le dipendenze, il disturbo ossessivo-compulsivo e il disturbo post-traumatico da stress, possono avere a che fare con la memoria e l’apprendimento, nel senso che una determinata situazione può essere associata ad un dato comportamento-ad esempio, vedere un bar pieno di persone che fumano può indurre ad accendersi una sigaretta-e riattivare ansie e paure o spingere ad agire in maniera inappropriata. Gli psicologi cercano in genere di lavorare su queste associazioni inconsce tra un determinato “stimolo” e una determinata “risposta” suggerendo di associare mentalmente allo stimolo altre possibili risposte, ma ciò, spesso, si rivela tutt’altro che semplice, e i pazienti possono facilmente avere delle ricadute.
Luca Fiorucci
Sempre più stressati fin da bambini
Sempre più stressati, fin dalla tenera età. Si potrebbe riassumere così quanto emerso dal Congresso italiano di Psiconeuroendocrinoimmunologia sul rapporto tra stress e salute, svoltosi a Orvieto dal 27 al 30 ottobre. Il presidente onorario della Sipnei (Società italiana di psiconeuroendocrinoimmunologia), Francesco Bottaccioli, ha infatti tracciato un quadro ben poco rassicurante su quanto lo stress incida sempre di più sui disturbi mentali, e quanto ciò avvenga anche e sopratutto nei bambini.
Far del bene fa bene a noi stessi
Far del bene fa bene a noi stessi. Stavolta, a sostenere questa tesi che magari può sembrare un pò “buonista”, arriva una ricerca americana svolta da Tehila Kogut e Ilana Ritov.
Molto spesso, infatti, le raccolte di fondi per beneficienza sono fatte, ad esempio, per la ricerca su tumori o malattie gravi, o su malattie infantili. Secondo questo studio, dunque,a spingere molte persone a fare beneficienza potrebbe essere una sorta di pensiero magico, per cui queste persone prima immaginano che una tale malattia potrebbe capitare anche a loro, e si sentono così spronate a donare soldi per la ricerca, e, una volta fatta la donazione, pensano che ciò possa contribuire, in qualche modo, a proteggerli da questi eventi negativi.
I narcisisti sanno di esserlo, ma si piacciono ugualmente così
Le persone narcisiste, sulle prime, possono anche risultare brillanti e simpatiche, ma con questo loro difetto, alla lunga, rischiano di perdere molti legami sociali importanti. Un recente studio, però, ha dimostrato come queste persone, pur avendo comunque un’altissima considerazione di sè, siano consapevoli di poter risultare presuntuosi e antipatici agli occhi degli altri,
La ricerca è stata condotta da un gruppo di studiosi guidati dalla psicologa Erika Carslton della Washington University di St.Louis. I ricercatori volevano approfondire tre aspetti del narcisismo: la percezione di se stessi, la percezione degli altri e cosa loro credevano gli altri pensassero di loro stessi.
Bambini meno aggressivi se in buoni rapporti con gli insegnanti
Il fenomeno del bullismo e delle violenze a scuola, anche tra i giovanissimi, è purtroppo sempre molto diffuso, e probabilmente è un pò, anche, lo specchio di una società aggressiva nonchè violenta, dove i bambini imparano presto che l’importante è farsi notare, anche con comportamenti prepotenti e di sopraffazione sui più deboli.
E’ un fenomeno che allarma sempre di più anche gli insegnanti, che potranno, però, imparare a contrastarlo meglio cercando di creare un buon legame tra loro stessi e gli studenti. Questo, almeno, è quanto emerso da uno studio condotto da Mara Brendgen, professoressa di psicologia all’Università del Quebec a Montreal, insieme a ricercatori dell’Università di Laval, dell’Università di Montreal, dell’Università dell’Alabama e dell’Università di Dublino.
Sei goloso di dolci? Forse hai anche un carattere “dolce”
Una buona notizia per tutti coloro che sono golosi di cibi dolci: nonostante possano comunque far ingrassare e nuocere anche ai denti, secondo una ricerca americana, però, chi ama mangiare questi cibi ha, in genere, un carattere più amichevole ed è più propenso ad aiutare gli altri, è insomma, “dolce” anche di carattere.
Gli uomini sarebbero leggermente più spiritosi delle donne
Uno studio americano sembrerebbe in parte confermare un luogo comune che già si stava diffondendo, secondo il quale gli uomini avrebbero un maggiore senso dell’umorismo, e sarebbero più spiritosi, delle donne. Per giungere a tale conclusione, i ricercatori dell‘Università di San Diego hanno chiesto ad un gruppo composto da 16 maschi e 16 femmine di scrivere delle didascalie per delle vignette satiriche tratte dal giornale “New Yorker”. Successivamente, è stato chiesto ad un gruppo composto da 34 maschi e 47 femmine di valutare le vignette in base a quanto le consideravano divertenti, senza sapere quali fossero scritte da uomini e quali da donne.
I maschi che hanno partecipato all’esperimento hanno ottenuto un punteggio più elevato rispetto alle femmine, ma praticamente di un soffio (0,11 punti); inoltre, dalla ricerca è emerso un particolare curioso: gli uomini, inconsciamente, tendevano a dare un punteggio più alto alle didascalie scritte da altri uomini, il che significa che i maschi risultavano più divertenti per lo più ad altri maschi.
La guida aggressiva dipende dalla personalità
Secondo un recente studio, intitolato “La guida aggressiva: un’esperienza dannosa“, l’aggressività al volante sarebbe collegata ad una personalità aggressiva, specie per chi vede la propria auto come un’estensione di se stesso. Secondo la professoressa Ayalla Ruvio, dell’Università di Philadelphia, che ha condotto la ricerca, “gli uomini tendono ad essere guidatori più aggressivi e tendono a vedere l’automobile come un’estensione della loro personalità più delle donne”
La Ruvio, nel suo studio, vede il fenomeno dal punto di vista del comportamento del consumatore e si rifà ad altre due ricerche condotte in Israele. La prima ricerca dà uno sguardo generale all’influenza della personalità, degli atteggiamenti e dei valori raccolti da 134 uomini e donne aventi un’età media di 23,5 anni. Il secondo studio, condotto su 298 persone, era derivato dal primo e aggiungeva come fattori l’attrazione per il rischio, l’impulsività, il guidare come attività divertente e il sentirsi in ritardo.
Bambini altruisti? Già a quindici mesi
Sembra spesso di vivere in una società dominata dall’egoismo, dove ci si disinteressa delle ingiustizie e delle sofferenze patite dagli altri, ma, in questo senso, una speranza può arrivare forse da chi si è da poco affacciato al mondo, sempre che poi non segua i cattivi esempi che possono venire dagli adulti.
Secondo una ricerca svolta in collaborazione tra il Max-Planch-Institute per l’antropologia evoluzionistica e l’Università di Washington, infatti, già a 15 mesi un bambino potrebbe aver sviluppato il senso dell’altruismo e dell’equità. In precedenza, si riteneva invece che i bambini maturassero tali qualità più tardi, intorno ai 6-7 anni.
Nell’esperimento, a un gruppo di 47 bambini di 15 mesi venivano fatti vedere due brevi video, nel primo dei quali un ricercatore dava dei cracker a dei suoi colleghi, prima distribuendoli in modo equo, poi dandone di più a uno dei due. Nel secondo video, la scena veniva ripetuta con del latte al posto dei cracker.
I bambini guardavano con maggiore attenzione e maggiore sorpresa i video nei quali il cibo veniva distribuito in maniera ineguale. “I bambini si aspettavano un’equa e giusta distribuzione di cibo, e rimanevano sorpresi nel vedere che a una persona veniva dato più latte o cracker che a un’altra”, ha spiegato Jessica Sommerville, professoressa associata dell’Università di Washington, che ha condotto la ricerca.
Videogiochi e violenza? Forse qualche legame c’è…
L’argomento è stato spesso al centro del dibattito, e si è tornati a parlarne sopratutto dopo le stragi avvenute a luglio in Norvegia, dal m0mento che il killer, Andres Breiving Breivik, aveva detto di essere un appassionato di videogiochi, e questi erano stati così additati come possibili cause scatenanti di simili esplosioni di follia e violenza efferata. In realtà, per fortuna, la stragrande maggioranza degli amanti di tali videogiochi, è persino superfluo ribadirlo, ha ben poco a che vedere con eventi sanguinosi o violenti.
Un recente studio condotto dall’Università di Bonn, in Germania, sembra però riavvalorare la tesi per la quale vi sarebbe un legame tra i videogames, specie quelli più violenti, e, appunto, la violenza. In particolare, chi trascorre molto tempo in questo modo svilupperebbe modi diversi di reagire a stimoli emotivi anche negativi, quasi come si scambiasse la realtà per la semplice finzione del gioco.
Prendete la vita con…filosofia
I disagi psicologici, spesso, possono essere alleviati da una buona psicoterapia o psicoanalisi, in cui fondamentale è il rapporto tra il paziente e il terapeuta, anche perchè è importante, per il paziente, essere ascoltato e ricevere parole d’aiuto. Può essere importante, inoltre, che il paziente trovi una giusta maniera, anzi, una giusta filosofia, è il caso di dire, per affrontare la vita.
Proprio ispirandosi a questi principi, sta prendendo piede anche in Italia la figura del “consulente filosofico“, che fornisce consigli e supporto sia a privati che ad aziende, proprio attraverso… la filosofia.
In realtà, la consulenza filosofica non è una professione recentissima, essendo stata fondata già nel 1981 in Germania da Gerd Achenbach, ed essendosi già abbastanza diffusa negli Stati Uniti e in molti altri paesi, prima di iniziare a far capolino, dal 2000, anche in Italia. Spiega infatti Neri Pollastri, consulente filosofico dal 2000, che ha anche scritto un libro sull’argomento: “Si tratta di aiutare a comprendere un concetto o l’ambiente in cui si vive, a trovare una visione del mondo, ed è qualcosa che si fa discutendo insieme“.
La Giornata mondiale della salute mentale
Oggi, 10 ottobre, si celebra la Giornata mondiale della salute mentale, voluta nel 1992 dalla Federazione Mondiale della Salute Mentale, in accordo con l‘Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), e celebrata in oltre cento paesi. Quest’anno, in particolare, il tema della giornata è: “Una grande spinta per la salute mentale” nel mondo, che “punta a valorizzare quattro elementi: l’unità, la visibilità, il diritto e la recovery“(il recupero del buon funzionamento interpersonale e sociale).
In particolare, per “unità” si vuole intendere la necessità di “fare rete” fra le organizzazioni a livello territoriale per richiamare l’attenzione delle istituzioni e dei governi sul tema della salute mentale; “visibilità” significa che è necessario porre in risalto quanto viene fatto per la salute mentale, per superare i pregiudizi a cui, purtroppo, anche al giorno d’oggi, possono andare incontro le persone con disagio mentale.
Per “diritto“si intende l’importanza che le persone colpite da malattie mentali vedano comunque rispettati i loro diritti umani, cosa che purtroppo, molto spesso, non avviene, e i malati psichiatrici vengono ricoverati in ospedali simili più a carceri, in condizioni disumane.
In Italia, in particolare, nonostante una buona legge in materia, la 180 del 1978 o “legge Basaglia”, permangono ancora strutture come gli ospedali psichiatrico-giudiziari (Opg), oggetto di una recente indagine della Commissione d’inchiesta del Senato sull’efficacia ed efficienza del Servizio sanitario nazionale, presieduta da Ignazio Marino, che ne ha documentato le condizioni spesso disumane e di grande degrado, spingendo il Parlamento ad una riforma del sistema di detenzione psichiatrica che andasse verso la loro chiusura.
Leggere le emozioni? Non solo in faccia
Una nuova ricerca condotta da Lisa Feldrman Barrett, professoressa di Psicologia presso la Northeastern University, sembra destinata a cambiare molte delle tradizionali teorie su come riconoscere le emozioni delle persone dalle espressioni facciali. La psicologa ha infatti spiegato che, alle consuete espressioni del viso che gli scienziati, per oltre cinquanta anni, hanno ritenuto indicatrici degli stati d’animo di una persona, si possono aggiungere molti altri fattori utili a decifrare le emozioni, come il linguaggio del corpo, la prospettiva di visuale, e persino l’orientamento culturale.
Secondo la ricercatrice, “Questo sfida il credo a lungo mantenuto nella scienza della psicologia per il quale le espressioni sono la cosa più importante”.
Pregiudizi e razzismo? Possono dipendere dalla società
Secondo un recente studio condotto da alcuni ricercatori del Georgia Institute of Thecnology, l’ambiente culturale circostante- nella fattispecie, quello americano-può contribuire a far insorgere pregiudizi razzisti o sessisti. Secondo questa ricerca, infatti, film, televisione, radio e letteratura americane potrebbero rafforzare certi stereotipi.
Il dottor Paul Verhaeghen, psicologo, che ha condotto tale ricerca, ha spiegato infatti: ” Si pensa che le persone tendono ad associare la gente di colore con la violenza, le donne con la debolezza, o gli anziani con la smemorataggine, perchè hanno dei pregiudizi. Ma c’è un’altra possibilità, che ciò che pensi non sei te, ma l’ambiente culturale intorno“.