Un detto popolare sostiene che gli “opposti si attraggono“, effettivamente nella vita di tutti i giorni non è difficile incontrare coppie composte da persone molto diverse l’una dall’altra. Questo perchè in alcuni casi leghiamo con un partner con un carattere diverso dal nostro in grado di “darci” quello che ci manca; ma è proprio vero che tendiamo a ricercare l’unione con partner così diversi da noi?
Psicologia
Il “veterinario è uno psicologo” : Oscar Grazioli
Fare il veterinario è sempre più difficile e non solo per il corso di studi, impegnativo e decisamente lungo: la professione è estremamente inflazionata (in Italia sono ben quattordici le facoltà universitarie, contro una media europea di tre), e il mercato è saturo e per di più esigentissimo:” Oggi il cliente richiede prestazioni sempre più sofisticate: tac, risonanze magnetiche, interventi chirurgici di altissimo livello” ci dice Oscar Grazioli, veterinario e giornalista.
I suoi casi più avvincenti sono: orsi malmessi, scimmie malandrine, gatti altruisti e lucertole profumate, che è possibile trovare – in Quello che gli animali non dicono (edizioni Età dell’Acquario, pp.. 280, euro 18), Grazioli ci spiega che il bravo veterinario deve essere anche un ottimo psicologo: i suoi pazienti infatti non possono parlare e naturalmente rispondono alla domanda “Allora dove ti fa male?” solo squittendo, nitrendo, o starnazzando, ed è solo dai padroni che è possibile ricavare tutte le informazioni utili soprattutto quelle più nascoste. “E spesso i proprietari minimizzano i sintomi per non ammettere di aver sbagliato“. Inoltre di errori se ne fanno tanti anche se in rete, vi è un’abbondanza di informazioni. E’ questa la motivazione per cui le conclusioni , non sono sempre delle migliori:” Non è raro il proprietario che entra in ambulatorio avendo già in mente una diagnosi letta in un sito internet. E i più avventati magari hanno già somministrato all’animale cure peggiori del male: ho visto un pitone in preda alle convulsioni perché il proprietario gli aveva spruzzato così tanto antiparassitario da intossicarlo“.
Timidezza, come superarla in 3 semplici passi
Quello della timidezza è un problema più frequente di quanto non sembri, molte persone riescono a mascherare questo aspetto del proprio carattere e, di conseguenza, a combatterlo. Purtroppo, però, sono altrettanti gli individui che, scoraggiati, lasciano che la timidezza prenda il sopravvento: sbagliato! Se è vero che ognuno ha determinati tratti caratteriali, non è detto che non possiamo migliorarli; ecco come possiamo aiutarci a superare la timidezza in 3 mosse.
I complimenti aiutano a crescere
Aiutare noi stessi ed avere una maggiore crescita personale? Sicuramente per farlo, “gli altri” sono una parte importantissima dela nostra vita. Oggi vediamo insieme uno step del come poter migliorare la nostra vita a se stante e quella in relazione con gli altri. Secondo alcuni studi recenti, i complimenti sarebbero l’input principale di ogni successo personale. Sia nel lavoro, che nell’amore o con gli amici, gli apprezzamenti sinceri, quelli che inorgogliscono, ci fanno fare sempre meglio e soprattutto diventano lo stimolo a fare ancora di più.
Questa tesi andrebbe a demotivare e rendere sterile completamente, quella più vecchiotta che parla di rimproveri. Infatti, secondo una vecchia corrente cognitivista i rimproveri sarebbero le migliori motivazioni possibili per fare di più, invece secondo le recenti statistiche il 90% delle persone rimproverate non si sente a suo agio, anzi, preferisce chiudere il rapporto con quella storia / situazione, acquisendone motivi di imbarazzo nel ripresentarsi.
Il delirio paranoide o complesso di persecuzione
Il termine letterale paranoia è: “vicino alla mente” o “fuori dalla mente” e per tale condizione, si intende un sistema di idee o convinzioni che sono distanti dalla realtà nel modo in cui viene di solito percepita. Questa parola si riferisce a idee di tipo persecutorio: il paranoico infatti è persuaso qualcuno ce l’abbia con lui o lo stia braccando, dubita della del partner e della sua fedeltà, crede che in sua assenza si parli male di lui.
Volendo attenersi all’etimo però, per paranoia, s’intende una qualunque convinzione erronea e non solo di tipo persecutorio e così per evitare confusioni in ambito clinico, viene utilizzato il termine delirio. Un delirio può essere un’ideazione persecutoria, ma c’è anche chi crede di avere un talento non riconosciuto, di essere una divinità o che un’altra persona si sia innamorata del soggetto delirante. Talora queste idee potrebbero anche essere verosimili, diventano deliri nel momento in cui si scontrano con la realtà e se ne riscontra l’infondatezza.
E’ piuttosto frustrante, condurre alla ragionevolezza un soggetto delirante. Il delirante inoltre, non raramente appare una persona equilibrata, talora tale fissazione, si riscontra in relazioni concluse, capita non di rado infatti che la persona che soffre di tale patologia, sia intimamente convinta l’ex compagna, ad esempio, pur se ha preso la decisione di chiudere il rapporto, in realtà, sia ancora innamorata e disposta a ricominciare. Alcuni episodi che oggi sono perseguibili come reato di stalking si devono a forme di delirio come questa. Le idee persecutorie possono associarsi anche ad altre patologie ed altri sintomi, come una schizofrenia paranoide, una condizione grave ma che fortunatamente è abbastanza rara.
Le griffe false ci rendono falsi
Scusate il gioco di parole, ma vestire falso rende falsi. E’ questo il risultato di una ricerca fatta dagli psicologi dell’Harvard Business School di Boston. Vestiti, scarpe ed accessori contraffatti dei grandi stilisti, sulla nostra psiche avrebbero un effetto a dir poco sconvolgente, rendendo il nostro essere poco positivo, anzi, rendendoci nei comportamenti falsi e per niente onesti se non malfidati nei confronti degli altri ed anche un po’ cinici.
A condurre questo studio in quel di Boston, la ricercatrice italiana Francesca Gino che lavorando su alcuni comportamenti ha pubblicato questa ricerca sulla rivista Psychological Science.
Per interpretare i falsi, sembra che sia stato studiato che l’uso dei prodotti contraffatti abbia una sorta di effetto anti – gratificante e di conseguenza crei in noi una sorta di ansia che ci porta a sentirci meno “veri”. Questa sarebbe la spiegazione di alcuni comportamenti non proprio chiari di chi indossa capi falsi. Il test è stato fatto dalla Francesca Gino su alcune donne a cui sono stati dati degli occhiali di ultima moda e di marca divise tra veri e contraffatti. Alle donne è stato detto che gli occhiali erano tutti fasulli, contraffatti, ma non era così.
Identikit del fenomeno del bullismo
Quali i presupposti per diventare bulli? E’ presto detto: famiglie inesistenti, videogiochi violenti, mancanza di regole. Questo è l’identikit che Paola Vinciguerra, psicologa, presidente dell’Eurodap (Associazione europea disturbi da attacchi di panico), dà del fenomeno.
Spiega la Vinciguerra che ” Il dato più interessante e allo stesso tempo preoccupante è che il 70 per cento delle persone che hanno risposto al nostro sondaggio online, quelle con un’età compresa tra i 18 e i 45 anni, considerano il bullismo unicamente come comportamento di trasgressione sociale, come può essere quello di vestirsi in maniera appariscente riempiendosi di piercing, per esempio“.
Il problema dunque, sta proprio nel fatto che adolescenti e genitori non considerano il bullismo come un problema di grande rilevanza. La psicoterapeuta, anche direttore dell’Unità italiana attacchi di panico (Uiap) presso la Clinica Paiedia di Roma, però ci rassicura sul fatto che “il 50 per cento di coloro che hanno risposto al sondaggio, e che hanno un’età compresa tra i 45 e i 55 anni, riconosce il fenomeno come realmente esistente ed allarmante, riconducendone la responsabilità primaria alle istituzioni e in modo particolare alla scuola“. L’età adulta dunque non è indifferente a tale grave problema.
Il bullismo è da ricercare pertanto nella sfera familiare e in quella scolastica e istituzionale. La nuova struttura familiare è diventata fragile, il simulacro di se stessa. I genitori con le loro separazioni, non sono più in grado – ammesso che precedentemente ne fossero capaci – , di rappresentare per i figli un solido riferimento indistruttibile, tanto sono precari e lontani dalle esigenze dei bambini e degli adolescenti.
Figlio unico, è un bene?
Assistiamo e da un pò ad uno dei cambiamenti sociali più evidenti dell’ultimo secolo e che investe la famiglia. Abituati fino a trent’anni fa ad un parentado esteso e alla struttura patriarcale, ci ritroviamo sempre più spesso oggi ad una di tipo “nucleare”, composta di pochi elementi. Infatti il numero dei figli per famiglia si è notevolmente ridotto e oggi è facile riscontrare che sempre di più coppie che decidono di avere un solo figlio, con il proposito evidente di poter curarlo con maggiore attenzione e rispondere meglio ad ogni suo bisogno.
A tutt’oggi non è possibile però ottenere un oggettivo punto di vista sul positività o meno dell’essere figli unici come del non esserlo e la risposta è semplice: il figlio unico non può naturalmente sapere cosa signichi avere dei fratelli, così come chi li ha non può comprendere fino in fondo come ci si senta ad essere figlio unico.
Del resto entrambe le condizioni presentano vantaggi e svantaggi, a seconda dell’età di riferimento.
Nell’infanzia, le “opportunità” che normalmente sono attribuite alla condizione dell’ essere figlio unico sono nella maggiore attenzione che spesso questi ricevono dai genitori e dai parenti. Da ciò ne deriva anche una serie di vantaggi materiali.
Questa è la ragione per cui alcuni considerano la condizione del figlio unico come quella di “bambino viziato“, mentre in realtà a renderlo tale sono esclusivamente i genitori. Il gap dell’ essere figlio unico nell’infanzia, è dato dal fatto che se la famiglia non è monoreddito ed entrambi i genitori lavorano, il bambino sarà affidato alle cure di altre figure di riferimento, come i nonni o i baby sitters. Se da una parte, il confronto con le persone adulte lo matura precocemente e ne migliora la ricchezza del vocabolario, è pur vero però che la mancanza di contatti costanti con i propri coetanei, priva questo bambino di fondamentali esperienze comunicative e sociali che hanno un peso determinante nello sviluppo emotivo e cognitivo. Per questo è molto importante inserirlo al più presto al nido.
Cibo: uno sfogo che può diventare arma
Le donne ed il cibo da mangiare, due parole che sembrano essere discordanti, considerato che il gentil sesso risulta quello essere più spesso a dieta rispetto ai maschietti. Una nuova ricerca, ha scoperto due chicche che sono state considerate come il punto debole degli esseri umani in rosa. Parliamo del cibo e del sesso. Gli psicologi mondiali, hanno infatti lanciato l’allarme di una depressione legata molto spesso a questi due fenomeni.
Questo perchè la donna sentirebbe più dell’uomo nel suo cuore, una difficoltà oggettiva nel vivere a 360 gradi il sesso fine a se stesso, mettendo in primo piano più un attaccamento emotivo che uno fisico, come spesso fa l’uomo. Praticamente le storie di sesso mettono a dura prova le donne, perchè vengono sempre vissute come storie d’amore e quindi l’unica tana per tentare di risollevarsi è spesso il cibo.
Paura di cadere? Le cadute aumentano
Una ricerca che ha visto impegnati i centri di Australia e Belgio, ha rilevato che gli anziani che hanno paura di cadere e farsi male, hanno realmente una maggiore probabilità di cadere. A scoprire questo pericolo, è stato dimostrato che è cresciuto anche il numero dei soggetti che non sembra a rischio perchè prende consapevolezza di questo. Lo studio è stato effettuato su ben 500 persone anziane tra i 70 ed i 90 anni, che sono stati sottoposti per alcune settimane a check up sia fisici che psicologici per accertarne le condizioni.
Lo studio, ha fatto si che in un secondo step, fossero suddivisi i soggetti in quattro gruppi partendo dal presupposto che abbiano diversi fattori di rischio sulle cadute, sulle loro ansie e le loro paure di cadere e soprattutto i soggetti a rischio depressione, e sono stati seguiti per un anno.
Gli anziani e la solitudine
Purtroppo la vita degli anziani, spesso si riduce quando non si limita del tutto, a poche, minime attività prive di contenuto sociale e la cui validità e importanza non trova
Non c’è memoria senza tenerezza
Bisognerebbe parlare, più spesso e con emozione, di un sentimento: la tenerezza. La tenerezza è alla radice di ogni delicatezza, amicizia, forma d’amore, impresa. Di ogni rivoluzione del cuore. “Bisogna essere duri” scriveva Ernesto Che Guevara “senza perdere la tenerezza“. Così i bambini sono teneri per loro stessa essenza e lo sono anche quegli adulti, maturi utopisti che, come Oscar Wilde, dichiarano: “Una mappa del mondo che non preveda il Paese dell’utopia non merita neppure uno sguardo“. Infine, non c’è “colore del grano“, per dirla con Saint Exupéry ovvero non c’è memoria senza tenerezza. Non c’è, comunque ricordo d’infanzia, d’adolescenza, di giovinezza o di un passaggio importante della nostra vita che, rivisitato per conoscere meglio noi stessi, per indagare le nostre eperienze e i vissuti delle nostre relazioni con gli altri (da quelli più intimi a quelli che, pure, ci hanno fatto soffrire), non contempli, al fondo, una certa, dovuta, inevitabile tenerezza. Verso noi stessi, verso quelli che abbiamo amato o che, in qualche modo, anche dolorosamente, ci hanno coinvolto.
Così, proviamo tenerezza verso quello che, magari, poteva essere e non è stato (e, allora, la tenerezza si fa nostalgia). O, meglio e ancora, il sentimento della tenerezza ci coglie verso ciò che è accaduto, siamo stati o di come siamo, ineluttabilmente, ormai diventati. Teneri noi! Allo stesso modo, teneri sono tanti ricordi al pensiero dei quali non rinunciamo mai; teneri gli appunti che conserviamo; le lettere inviate e ricevute; i nostri disegni e quelli dei nostri figli; tenere le musiche che riascoltiamo; teneri i vecchi peluche che non abbiamo mai gettato via e i vestiti fuori moda che conserviamo perennemente appesi negli armadi.
Miglioramento personale, l’importanza dell’autocritica
Cos’è l’autocritica? Wikipedia la definisce “l’atto di esaminare e giudicare il proprio comportamento al fine di migliorarlo“, eppure quando sentiamo parlare di autocritica tendiamo ad associarlo ad aspetti che poco hanno a che fare con il suo vero significato, come la paura di essere giudicati; al contrario l’autocritica è un ottimo strumento per migliorarci sotto diversi aspetti.
L’invidia è stupida
Quanta stupidità si annida nell’invidia. Di cosa mai dovremmo essere invidiosi? Cosa pretendiamo da noi stessi? Perchè alcuni aspirano ad assomigliare, quando addirittura non scimmiottare talenti, atteggiamenti, modi di essere che non gli appartengono, di altre persone, rendendoli infelici e frustrati?
Per intenderci: non tutti abbiamo l’avvenenza dei divi del cinema, eppure nella nostra esistenza di certo abbiamo fatto cose di cui poter essere soddisfatti. L’invidia dunque, va sempre di pari passo con la mancanza di autostima. Si prova questo sentimento perché non si è abbastanza convinti del proprio carattere. Così si svalorizza se stessi, un’operazione priva di senso. Infatti, se l’invidia è basata su una competizione fisica bisogna assolutamente relativizzare l’importanza di questa componente.