Sarà capitato a tutti di andare da una stanza all’altra della casa, per poi dimenticarsi, improvvisamente, che cosa dovevamo fare o cercare. Alcuni ricercatori dell’Università di Notre-Dame hanno tentato di studiare meglio quest0 fenomeno, attraverso alcuni esperimenti dai quali sono giunti alla conclusione che un cambiamento di luogo anche piccolo, come può essere, appunto il passare da una stanza all’altra, può causare questi brevi vuoti di memoria.
Studi e Ricerche
E voi? Quante volte cambiate i calzini?
Vi sembrerà strano il titolo di questo post. Non abbiate paura. Non è uno scherzo. Si tratta di un’indagine condotta dalla nota azienda svizzera Blacksocks, che produce calze. La stessa ha commissionato una ricerca alla GFK Switzerland per poter capire quali sono le abitudini dei cittadini di sei Paesi europei in merito a cosa indossano ai propri piedi. I sei Paesi interessati sono stati: Svizzera, Austria, Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna. A tremila persone in ogni nazione è stato chiesto quante volte cambiano i propri calzini.
Allenarsi a controllare i sentimenti negativi
Capita a tutti di incontrare qualcuno con la faccia arrabbiata, e di pensare che magari è arrabbiato con noi, anche se non lo conosciamo. Dovremmo, in tal caso, considerare che questa persona, magari, non ha qualcosa contro di noi in particolare, ma semplicemente avuto una cattiva giornata, o ha ricevuto qualche cattiva notizia, quindi forse ce l’ha col mondo in generale.
Sorridere, per vivere meglio
Sorridi, che la vita ti sorride, dice il proverbio. Ciò è quello che sembra intendere il dottor Gil Greengross, psicologo e antropologo dell’Università del New Mexico, in un articolo pubblicato questa settimana sulla rivista “Psychology Today”.
Greengross si rifà a due studi, uno dell’anno scorso e uno appena svolto, che hanno preso in esame anche alcune foto sul popolare social network Faceb0ok, per capire lo stato psicologico attuale e futuro del soggetto.
Uomini, è loro il senso dell’umorismo?
Avete mai pensato: quell’uomo mi piace perché mi fa ridere? Uno studio condotto dall’Università della California assottiglia le differenze esistenti fra uomini e donne in merito al senso dell’umorismo. Secondo un luogo comune gli uomini sarebbero più spensierati e quindi più simpatici rispetto alle donne. Tutto questo derivererebbe dal rito del corteggiamento: gli uomini sono spinti a stupire le donne per poterle conquistare e usano come arma di seduzione la comicità. Il principe azzurro non sarebbe, quindi, romantico, ma spiritoso. L’importante per una donna è ridere ed essere felice.
L’aspetto conta, anche sul lavoro
La prima impressione è quella che conta, recita un vecchio detto popolare. Ciò sembra essere vero anche nella ricerca del lavoro, dove, secondo una recente ricerca, condotta dalla Rice University e dall’University of Houston, avrebbe una grande importanza anche l’aspetto fisico, al punto che chi ha cicatrici o segni sulla faccia avrebbe, proprio per questo, minori possibilità di essere assunto rispetto agli altri.
Siamo più il prodotto della genetica o dell’ambiente?
Un interessante studio condotto da Heeiung Kim e David Sherman, psicologi dell’Università di Santa Barbara, e pubblicato sulla rivista Social Psychological and Personality Science, ha analizzato quanto noi siamo il prodotto dell’ambiente circostante e quanto, invece, della genetica, che è uno dei più antichi dilemmi della psicologia.
Il dottor Sherman ha spiegato: “Tutti sono d’accordo che le persone sono segnate da entrambi, ma la struttura dell’interazione fra i geni e la cultura comincia a determinare come ciò avvenga a seconda della mutevolezza culturale“. I ricercatori, utilizzando il recettore dell’ossitocina, che è collegato all’emotività, hanno dimostrato che gli individui possono avere uno stesso patrimonio genetico, ma manifestarlo in maniera differente, a seconda del loro rispettivo ambiente culturale.
Il figlio unico è il più intelligente?
In Italia ci sono poche nascite. Molto spesso i genitori preferiscono concentrare tutte le loro energie su un solo bambino per potergli dedicare tutte le cure possibili. Proprio per questo, molto spesso (ma non vogliamo cadere in dei clichè o degli stereotipi) i figli unici vengono viziati e coccolati da mamma e papà, che attendono da loro il miglior risultato. Una ricerca promossa da Daniela Del Boca, docente di Economia Politica dell’Università di Torino, ha dichiarato come l’Italia detenga il primato di Paese con tasso di fecondità più basso d’Europa.
Troppa autostima può essere controproducente?
Un recente studio svolto da Young-Hoon Kim, ricercatore di Psicologia, sembra avvalorare la tesi che un’eccessiva considerazione di sè può essere dannosa, e può portare ad impegnarsi di meno nello studio e nel lavoro, ritenendosi comunque migliori degli altri. Nella sua ricerca, pubblicata di recente dall’American Pshichological Association, Kim ha preso in esame il grado di autostima di 295 studenti di college americani e 2780 studenti delle scuole superiori di Hong Kong, scoprendo così che gli studenti che avevano un’irrealistica considerazione di se stessi generalmente avevano un rendimento peggiore a scuola, erano meno motivati ed erano più a rischio di scivolare nella depressione rispetto a coloro che venivano valutati correttamente, anche se avevano risultati meno buoni.
Quanti figli avrai? Basta capire il tuo viso
Si tratta del risultato di una ricerca condotta dall’Università di St. Andrew che è riuscita a trovare un collegamento tra i tratti somatici del viso della donna e la sua possibilità di diventare mamma. Dallo studio si è evinto che donne che hanno dei lineamenti molto femminili, come labbra carnose, occhi ben delineati e tratti del viso delicati, possono avere più figli.
L’importanza di “disinnescare” i cattivi ricordi e di modificare l’apprendimento
Molti disturbi psicologici, come le fobie, le dipendenze, il disturbo ossessivo-compulsivo e il disturbo post-traumatico da stress, possono avere a che fare con la memoria e l’apprendimento, nel senso che una determinata situazione può essere associata ad un dato comportamento-ad esempio, vedere un bar pieno di persone che fumano può indurre ad accendersi una sigaretta-e riattivare ansie e paure o spingere ad agire in maniera inappropriata. Gli psicologi cercano in genere di lavorare su queste associazioni inconsce tra un determinato “stimolo” e una determinata “risposta” suggerendo di associare mentalmente allo stimolo altre possibili risposte, ma ciò, spesso, si rivela tutt’altro che semplice, e i pazienti possono facilmente avere delle ricadute.
Far del bene fa bene a noi stessi
Far del bene fa bene a noi stessi. Stavolta, a sostenere questa tesi che magari può sembrare un pò “buonista”, arriva una ricerca americana svolta da Tehila Kogut e Ilana Ritov.
Molto spesso, infatti, le raccolte di fondi per beneficienza sono fatte, ad esempio, per la ricerca su tumori o malattie gravi, o su malattie infantili. Secondo questo studio, dunque,a spingere molte persone a fare beneficienza potrebbe essere una sorta di pensiero magico, per cui queste persone prima immaginano che una tale malattia potrebbe capitare anche a loro, e si sentono così spronate a donare soldi per la ricerca, e, una volta fatta la donazione, pensano che ciò possa contribuire, in qualche modo, a proteggerli da questi eventi negativi.
I narcisisti sanno di esserlo, ma si piacciono ugualmente così
Le persone narcisiste, sulle prime, possono anche risultare brillanti e simpatiche, ma con questo loro difetto, alla lunga, rischiano di perdere molti legami sociali importanti. Un recente studio, però, ha dimostrato come queste persone, pur avendo comunque un’altissima considerazione di sè, siano consapevoli di poter risultare presuntuosi e antipatici agli occhi degli altri,
La ricerca è stata condotta da un gruppo di studiosi guidati dalla psicologa Erika Carslton della Washington University di St.Louis. I ricercatori volevano approfondire tre aspetti del narcisismo: la percezione di se stessi, la percezione degli altri e cosa loro credevano gli altri pensassero di loro stessi.
Bambini meno aggressivi se in buoni rapporti con gli insegnanti
Il fenomeno del bullismo e delle violenze a scuola, anche tra i giovanissimi, è purtroppo sempre molto diffuso, e probabilmente è un pò, anche, lo specchio di una società aggressiva nonchè violenta, dove i bambini imparano presto che l’importante è farsi notare, anche con comportamenti prepotenti e di sopraffazione sui più deboli.
E’ un fenomeno che allarma sempre di più anche gli insegnanti, che potranno, però, imparare a contrastarlo meglio cercando di creare un buon legame tra loro stessi e gli studenti. Questo, almeno, è quanto emerso da uno studio condotto da Mara Brendgen, professoressa di psicologia all’Università del Quebec a Montreal, insieme a ricercatori dell’Università di Laval, dell’Università di Montreal, dell’Università dell’Alabama e dell’Università di Dublino.