Cibo: uno sfogo che può diventare arma

 

Le donne ed il cibo da mangiare, due parole che sembrano essere discordanti, considerato che il gentil sesso risulta quello essere più spesso a dieta rispetto ai maschietti. Una nuova ricerca, ha scoperto due chicche che sono state considerate come il punto debole degli esseri umani in rosa. Parliamo del cibo e del sesso. Gli psicologi mondiali, hanno infatti lanciato l’allarme di una depressione legata molto spesso a questi due fenomeni.

 Questo perchè la donna sentirebbe più dell’uomo nel suo cuore, una difficoltà oggettiva nel vivere a 360 gradi il sesso fine a se stesso, mettendo in primo piano più un attaccamento emotivo che uno fisico, come spesso fa l’uomo. Praticamente le storie di sesso mettono a dura prova le donne, perchè vengono sempre vissute come storie d’amore e quindi l’unica tana per tentare di risollevarsi è spesso il cibo.

La patologia del giocatore dipendente o gambler

La patologia del giocatore dipendente (gambler) è tipica dell’ individuo che non ha più il controllo del proprio  divertimento al gioco, rendendo questo una necessità irrefrenabile tanto che necessita un’immediata risposta, a discapito di qualsiasi altra situazione sociale, economica e familiare.

Si tratta per lo più di giochi d’azzardo o di scommesse, i quali sono pienamente legali e nella maggior parte del mondo. Questa dipendenza è dovuta ad un disturbo che inficia la capacità di controllo degli impulsi.Vulnerabile alla tensione emotiva, il soggetto trova sollievo solo dedicandosi al gioco.
L’attività di gioco annulla qualsiasi altra condizione, intensi sono pensieri ed azioni relativi al senso di colpa e al bisogno di appagamento che solo la dipendenza sembra dare. La dinamica si ripete sempre uguale: se va male, il giocatore tenta di riguadagnare quanto perso, mentre se vince tende ad alzare la posta e a giocare sempre di più, considerandosi fortunato per quel giorno.

Ciò che rende tale ossessione insidiosa è che di solito, per recuperare quanto si è perso, si tende ad aumentare il piatto proprio nel momento in cui si sta perdendo piuttosto che quando sta vincendo. Inoltre quando il gambler tenta di non giocare, si mettono in moto una serie di sintomi da astinenza dal gioco, tra cui non sono esclusi sintomi di tipo depressivo, ansia ed aggressività.
Non è possibile un “indentikit” del soggetto specifico che può soffrire di una dipendenza da gioco.

Di solito però, si tratta di individui in cui in letenza sono presenti tratti di personalità narcisistica od antisociale. Il fragile autocontrollo e l’incapacità ad affrontare le situazioni giornaliere possono favorire il manifestarsi di tale patologia.
I giochi che inducono più facilmente ad acquisire questa dipendenza, sono quelli vi è un’immediata riscossione del premio in seguito ad una scommessa.
Maggiormente sono colpiti gli uomini in età giovanile ed intorno ai 40 anni, mentre la fascia di età delle donne è tra i 40 ed i 50 anni.

Paura di cadere? Le cadute aumentano

 

Una ricerca che ha visto impegnati i centri di Australia e Belgio, ha rilevato che gli anziani che hanno paura di cadere e farsi male, hanno realmente una maggiore probabilità di cadere. A scoprire questo pericolo, è stato dimostrato che è cresciuto anche il numero dei soggetti che non sembra a rischio perchè prende consapevolezza di questo. Lo studio è stato effettuato su ben 500 persone anziane tra i 70 ed i 90 anni, che sono stati sottoposti per alcune settimane a check up sia fisici che psicologici per accertarne le condizioni.

Lo studio, ha fatto si che in un secondo step, fossero suddivisi i soggetti in quattro gruppi partendo dal presupposto che abbiano diversi fattori di rischio sulle cadute, sulle loro ansie e le loro paure di cadere e soprattutto i soggetti a rischio depressione, e sono stati seguiti per un anno.

Natura, toccasana per la sovraesposizione tecnologica

 

Chi è che in tempi recenti riesce ad avere un distacco netto dalla tecnologia? In pochi…veramente in pochi. I tipi più nervosi, anche in vacanza quest’anno hanno dimostrato di andare a controllare la posta in continuazione e soprattutto di andare a leggere di continuo sul display del cellulare l’eventuale presenza di una chiamata oppure di un messaggio. Il termine che viene utilizzato dagli studiosi è improcrastinabile. Ciò che è superfluo viene considerato di continuo urgente, e tutto questo a seguito del continuo flusso di informazioni a cui la nostra memoria è costretta a ricorrere insieme alle capacità costanti di apprendimento.
Per affrontare questo studio, ci sono voluti 5 neuroscienziati americani, insieme ad un reporter del New York Times che hanno deciso di affrontare questa vacanza nello Utah per capire se la completa immersione nel relax e soprattutto nella natura, riuscisse ad aumentare le proprie ancolazioni d’ansia per poter rilassare la mente ed invertire tutti gli effetti negativi che lo stress da sovraesposizione tecnologica provoca negli individui. Nel gruppo dei cinque c’erano sia personaggi che credevano nell’effetto della natura sia chi non ci credeva ed era semplicemente scettico, utilizzando tranquillamente tutti i gadget tecnologici in suo possesso.

Jovanotti, la sua voce tra musica e passione

 Cosa c’è di più rilassante di ascoltare buona musica? Al mare, a casa o in ufficio, ci aiuta ad allontanarci dal tram tram quotidiano ed in alcuni casi riesce ad insegnarci qualcosa. Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, è uno dei protagonisti principali della musica italiana che, con i suoi 20 anni di successi internazionali, si è conquistato la stima di persone da tutto il mondo non solo attraverso le sue bellissime canzoni ma soprattutto grazie al suo invito all’amore ed alla solidarietà.

Stress da rientro? Sconfiggilo in 5 mosse!

Le vacanze sono volate: purtroppo la nostalgia delle ferie si lega al difficile ritorno alle vecchie abitudini. I ritmi più movimentati, il lavoro, la sveglia che suona troppo presto possono rendere i primi giorni davvero fastidiosi: per ritrovare la serenità, scopriamo come affrontare lo stress da rientro.

Non c’è memoria senza tenerezza

Bisognerebbe parlare, più spesso e con emozione, di un sentimento: la tenerezza. La tenerezza è alla radice  di ogni delicatezza, amicizia, forma d’amore, impresa. Di ogni rivoluzione del cuore. “Bisogna essere duri” scriveva Ernesto Che Guevarasenza perdere la tenerezza“. Così i bambini sono teneri per loro stessa essenza e lo sono anche quegli adulti, maturi utopisti che, come Oscar Wilde, dichiarano: “Una mappa del mondo che non preveda il Paese dell’utopia non merita neppure uno sguardo“. Infine, non c’è “colore del grano“, per dirla con Saint Exupéry ovvero non c’è memoria senza tenerezza. Non c’è, comunque ricordo d’infanzia, d’adolescenza, di giovinezza o di un passaggio importante della nostra vita che, rivisitato per conoscere meglio noi stessi, per indagare le nostre eperienze e i vissuti delle nostre relazioni con gli altri (da quelli più intimi a quelli che, pure, ci hanno fatto soffrire), non contempli, al fondo, una certa, dovuta, inevitabile tenerezza. Verso noi stessi, verso quelli che abbiamo amato o che, in qualche modo, anche dolorosamente, ci hanno coinvolto.

Così, proviamo tenerezza verso quello che, magari, poteva essere e non è stato (e, allora, la tenerezza si fa nostalgia). O, meglio e ancora, il sentimento della tenerezza ci coglie verso ciò che è accaduto, siamo stati o di come siamo, ineluttabilmente, ormai diventati. Teneri noi! Allo stesso modo, teneri sono tanti ricordi al pensiero dei quali non rinunciamo mai; teneri gli appunti che conserviamo; le lettere inviate e ricevute; i nostri disegni e quelli dei nostri figli; tenere le musiche che riascoltiamo; teneri i vecchi peluche che non abbiamo mai gettato via e i vestiti fuori moda che conserviamo perennemente appesi negli armadi.

Miglioramento personale, l’importanza dell’autocritica

 Cos’è l’autocritica? Wikipedia la definisce “l’atto di esaminare e giudicare il proprio comportamento al fine di migliorarlo“, eppure quando sentiamo parlare di autocritica tendiamo ad associarlo ad aspetti che poco hanno a che fare con il suo vero significato, come la paura di essere giudicati; al contrario l’autocritica è un ottimo strumento per migliorarci sotto diversi aspetti.

La meditazione come promozione delle funzioni celebrali

 

Una delucidazione alquanto interessante quellache in questi giorni sta girando in ambito psicologico. Basterebbero solo 11 ore per mettere in pratica una qualche tecnica meditativa efficiente, che andrebbe a modificare strutturalmente il nostro cervello aumentandone l’efficienza. La nuova tecnica di aumento dell’efficienza e regolazione del comportamento in base ai propri obiettivi si chiama IBMT, che sarebbe Formazione Integrativa Mente-Corpo. Il team internazionale di ricerca della Dalian University of Technology e dell’Università dell’Oregon guidati dal dottor Yi-Yuan Tang e lo psicologo Michael I. Posner, in Cina, l’avrebbe sperimentata partendo dalla Medicina Tradizionale Cinese nel 1990.
Questa pratica ha impegnato oltre tutto lo staff psicologico, anche 45 studenti dell’università dell’Oregon che sono stati allo stesso tempo trasformati in insegnanti, oltre che aver fruito la tecnica da “pazienti”. Si tratta di 28 maschi e 17 femmine. Dopo la “somministrazione” della cura meditativa, i soggetti sono stati suddivisi in due gruppi ed hanno avuto fatta una formazione per l’IBMT.

L’invidia è stupida

 

Quanta stupidità si annida nell’invidia. Di cosa mai dovremmo essere invidiosi? Cosa pretendiamo da noi stessi? Perchè alcuni aspirano ad assomigliare, quando addirittura non scimmiottare talenti, atteggiamenti, modi di essere che non gli appartengono, di altre persone, rendendoli infelici e frustrati?

Per intenderci: non tutti abbiamo l’avvenenza dei divi del cinema, eppure nella nostra esistenza di certo abbiamo fatto cose di cui poter essere soddisfatti. L’invidia dunque, va sempre di pari passo con la mancanza di autostima. Si prova questo sentimento perché non si è abbastanza convinti del proprio carattere. Così si svalorizza se stessi, un’operazione priva di senso. Infatti, se l’invidia è basata su una competizione fisica bisogna assolutamente relativizzare l’importanza di questa componente.

La gelosia è motivata dall’insicurezza

Avete presente le ricette di cucina, quando compare l’abbreviazione professionale “q.b.”, ovvero: quanto basta? Ecco, così dovrebbe succedere anche con la gelosia: in ogni storia d’amore dovrebbe essercene quanto basta. Perché questo sentimento è come una borsetta: è un accessorio utile e sempre presente in un rapporto (è inutile negarlo o pensare il contrario), ma non si può averne troppe. Infatti, un pizzico fa sentire all’altro di essere amato, gli dà la percezione di essere importante e prezioso, di essere indispensabile.

Sempre questo pizzico lusinga il partner, che davanti a un piccolo interrogatorio mostrerà biasimo, ma in cuor suo saprà che il sentimento dell’altro è vero, forte e profondo. Il vero problema? Riuscire a misurare questa dose, questo “quanto basta”. E non è affatto facile, perché può mutare e dipendere dalle proprie fragilità e dai propri bisogni. Ma c’è un confine da non superare. Quello della libertà dell’altro. Certo, la gelosia è un sentimento legato a un senso di possesso, ma non deve, mai e poi, arrivare a compromettere l’autonomia e l’indipendenza di chi si ama, che non può essere rinchiuso nel santuario esclusivo della coppia.

Non inimichiamoci i vicini di casa

Si leggono molte storie sui vicini di casa. Alcune tragiche, altre comiche. Altre ancora raccontano storie di pura indifferenza: persone che vivono nello stesso condominio e che, se si incontrano per strada, non si salutano perchè non si riconoscono. Questi rapporti sono sempre delicati. Prima o poi capita che si debba interagire per qualche ragione ed è bene poterlo fare in assenza di conflitti.

Significa che bisogna per forza intrattenere relazioni con queste persone? No ovviamente. Può capitare di diventare amici del vicino di pianerettolo, con cui ci si scambiano piccoli favori o qualche invito a cena. E’ sicuramente un aiuto perché, nelle grandi città, avere qualcuno su cui contare è una risorsa preziosa. Ma in generale si possono instaurare buoni rapporti pur mantenendo le distanze.

La religione aiuta a sopravvivere ai trapianti

 

La frase del titolo potrebbe essere fraintesa e quindi è giusto mettere subito in chiaro qualche informazione derivante da studi recenti. Lo studio di cui parliamo è italiano ed è stato svolto dall’Istituto di di fisiologia clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa (Ifc-Cnr), in collaborazione con il dipartimento di Trapiantologia epatica dell’universita’ di Pisa. Credere nella religione aiuterebbe a sopravvivere maggiormente in caso di trapianto.

La ricerca è stata pubblicata anche sulla rivista specifica Liver Transplantation ed i dati sono chiari. I pazienti convinti nella religione che hanno creduto di superare “l’ostacolo” del trapianto sono sopravvissuti per un totale di 93,4%, con una mortalità di soli 6,6%. Coloro che non ci credono sono sopravvissuti solo nel 79,5% dei casi.