Abbiate il coraggio di chiudere le vostre storie d’amore quando vi rendono infelici

Per riuscire a mettere la parola fine a un rapporto ci sono vari modi: in realtà, in alcuni casi più che il coraggio è importante trovare la motivazione. Per fare questo è necessario staccarsi dalle resistenze e ragionare sul perchè è bene agire. E, soprattutto, sulle conseguenze negative del non chiudere quella relazione.

Per esempio, se a voi la storia sembra ormai esaurita e non la chiudete, facilmente accadrà che a causa del logoramento del rapporto si passi dal non amarsi al non volersi nemmeno più bene. Dopodichè il nostro inconscio, per far sì che accada ciò che vogliamo, ci spingerà a concentrarci sui lati negativi del partner portandoci a detestarlo, odiarlo e quindi a litigare solo per costringerci a lasciarlo.

Bisogna tenere presente che quando le nostre scelte sono dettate dalla paura di soffrire o di far star male l’altra persona si sbaglia comunque. Perchè continuando la relazione non risparmiamo dolori a nessuno. Anzi: aspettare e rimandare inasprisce l’atmosfera già pesante.

Talassoterapia: un toccasana per muscoli e circolazione

 

In periodo estivo, per chi si riesce a concedere una vacanza al mare è giusto parlare di qualche pratica svolgibile proprio nelle località turistiche italiane. Oltre a parlare del bene del sole e dello iodio che ci offre il mare, con la sua acqua salata, oggi parliamo anche di talassoterapia. Chiariamo prima di tutto le idee per chi ancora non avesse chiaro il tipo di terapia.

Si tratta di una metodica conosciutà già dagli antichi tempi perchè il nome deriva dal greco thalassa che vuol dire mare e terapia che vuol dire trattamento. Però la storia vera del trattamento come inteso oggi parte nel 1700 grazie al medico di origini inglesi di nome Richard Russel. Con questa terapia oggi (molto amata), il mare viene sempre più visto come fonte di bellezza e benessere grazie all’insieme di oligo-elementi minerali e vitamine indispensabili che l’organismo di ognuno accetta di buon grado.

La gioia ha un risvolto etico

La parola gioia si collega al termine greco ganos, che significa splendore, luccichio. Infatti, ancora oggi usiamo espressioni che si trovano in Omero, come “la gioia che risplende sul volto” oppure “occhi che brillano di gioia“. Questa emozione ha la caratteristica di risplendere sulle persone che la provano, di illuminarle. E si dice anche “esplosione di gioia”, perché è qualcosa di forte, potente come uno scoppio e incontenibile. Da questa analisi semantica, si può comprendere che la gioia è una manifestazione della felicità, è la dimensione pubblica della felicità.

E mentre quest’ultima è un sentimento interiore, anzi un bene duraturo che si conquista solo con la virtù, la gioia è la sua manifestazione esteriore. Una manifestazione che porta con sè festa ed allegria. Ma anche calma, perché ci si compiace del proprio stato, si sente una sorta di equilibrio e di pace, con se stessi e con il mondo che ci circonda.

Il bene ed il male, due facce della stessa medaglia

 

Oggi vi parliamo di un tema che prende spunto dai testi di Erich Fromm, psicoanalista tedesco di origine ebraica, che studiava le condizioni di individui normali ed uguali in tutto e per tutto, se non per quello che avevano dentro: il bene ed il male.
Oggi, con gli studi avanzati in sociologia sembra essere più semplice la comprensione tra i due concetti, riuscendo a portare degli esempi plausibili di questi due concetti derivanti non solo dalle quattro mura domestiche, bensì, anche dai casi che ci presenta la televisione. Ma analizziamoli entrambi per cercare di capirne qualcosa in più dal punto di vista del valore degli individui.

La vergogna non è sempre negativa

Si pronuncia la parola vergogna e subito arrivano alla mente idee negative. Si pensa alla vergogna di chi ha commesso un errore, anche molto grave, e viaggerà a lungo accompagnato da un pesante senso di colpa. Eppure, questa emozione, non è sempre negativa.

Perché può essere una bussola che ci dà una direzione: se si prova vergogna per un’azione compiuta, per esempio per aver tradito la fiducia di un amico o deluso le aspettative di chi si ama, vuol dire che questo comportamento è andato contro la propria morale, ha infranto quelle regole profonde che fanno parte di sè. E questo dolore farà da monito per evitare di commettere ancora uno sbaglio simile. Insomma, la vergogna assomiglia a una specie di fitta, che risveglia la propria etica e aiuta ad agire meglio. Un tempo, poi, c’era la vergogna che sentiva chi era additato perchè diverso, per il colore della pelle, per i suoi ideali o per la sua storia.

L’amore eterno non esiste più

 

Se è vero che un tempo i giovani sognavano solo l’amore eterno, uomini o donne che siano, sembra proprio che ai tempi moderni le abitudini siano cambiate. Fa’ che la libertà dei giovani è cambiata, fa che sono cambiati i programmi in televisione ed i modi di vivere, tra le ambizioni degli adolescenti fino ai 30 anni, il concetto di amore eterno è scomparso.

A ricordarcelo anche l’intervista fatta tempo addietro dal giornale “La Stampa” al sociologo italiano per eccellenza Francesco Alberoni, che approfittò della stessa per parlare del suo libro “Innamoramento e Amore“. Nell’intervista, si parlò proprio dell’oggetto del suo testo e soprattutto del nuovo concetto che i giovani hanno di relazionarsi a quello che era per i nostri genitori il concetto del per sempre insieme. Ne fuoriesce qualcosa che fa comprendere come la nostra società sia cambiata e come il concetto del “per sempre” seppur esiste è molto diverso da quello che vivevano i nostri nonni o ancora i nostri genitori.

Pensiamo alla tristezza come ad una risorsa

La tristezza fa pensare immediatamente alle stagioni. Tra tutte, assomiglia all’autunno, perché il tono dell’umore va in caduta libera, come il sole e le foglie. Ma è un’emozione decisiva perché riesce ad azzerare la nostra identità e a portare un nuovo modo di essere, se la si vive al meglio, se la si accoglie. E proprio qui sta il grande dilemma contemporaneo, perché noi ci ostinamo a combatterla a suon di domande inutili. O, addirittura, ad annullarla a colpi di estenuanti bombardamenti di psicofarmaci, che hanno un solo risultato: aprire la strada alla depressione.

Invece, dobbiamo riuscire a comprendere che l’anima è la parte più autentica e saggia di noi. Non sbaglia mai. E se fa arrivare dentro noi stessi la tristezza è per farci capire che stiamo facendo un percorso sbagliato, che il nostro essere si sta snaturando e che esistono delle alternative salvifiche ai modelli di oggi. Per questo dovremmo lasciare che il dolore si espanda. Perché, infondo, è come un parto, come la rottura delle acque che è presagio di nuova vita. Come una porta che si spalanca all’arrivo di un’energia creatrice, che ci rigenera. Come una benedizione che ci allontana dagli errori e ci regala un’altra possibilità per essere veramente noi stessi, nel mondo più vero.

L’uomo in estate soffre di solitudine

 

Purtroppo è così, mentre tutti pensano che la malinconia e la solitudine siano cose da femminucce, un recente studio ha reso noto che gli uomini soffrono più del triplo della solitudine e della malinconia nella bella stagione.

I professionisti del Centro Indivenire di Roma, hanno scoperto a seguito di una indagine fatta proprio sui soggetti uomini questa difficoltà molto sensibile al punto da dichiarare che: “Non pensavamo, quando abbiamo deciso di attivare il servizio gratuito di pronto soccorso psicologico estivo, di trovarci davanti alle richieste dagli uomini che esprimono soprattutto una gran solitudine. Ci ha colpito molto, perché di solito la solitudine è una patologia banalizzata, non conclamata. Ci deve far riflettere, dobbiamo mettere in campo attività socializzanti“. Le parole della Dottoressa Sara Eba Di Vaio, sessuologa e psicologa.
L’uomo, che è un essere già di per suo più restio a volersi stendere sul lettino di uno “strizza cervelli” e raccontare le sue cose intime, ha visto che nell’iniziativa “Aperti per ferie…lo psicologo non va in vacanza”, poteva avere un riscontro e parlare apertamente delle proprie crisi di coppia estive e della solitudine che si sente rimanendo in città a lavorare.

No all’incubo del peso

Ci è arrivata addosso la stagione del costume  da bagno e c’è da giurare che la gran parte delle signore si dedicherà, più ferocemente del solito, a ogni sorta di privazione alimentare per rispondere alla imperiosa esigenza di essere magre. Più magre possibile.

Secondo le statistiche circa il 90% delle donne sarebbe convinto di pesare troppo; ogni giorno il 25% delle donne decide di ricominciare una dieta più volte iniziata, interrotta, ripresa o conclusa. Le cronache, poi, ci informano di giovani che per inseguire la magrezza mettono addirittura in pericolo la vita.

La “chimica” cerebrale influenza i nostri comportamenti

Immaginate un uomo che passeggia con una donna accanto. Il cellulare squilla; lui getta un’occhiata al display, risponde, e intanto rallenta il passo. Discute con un collega, e si ferma del tutto. E lei, soprattutto se è la moglie, comincia a manifestare chiari segni di nervosismo…Lo stesso che coglie milioni di donne ogni giorno, constatando che un maschio non può fare due cose alla volta.

Persino cose banali, come rispondere alla fidanzata che gli chiede qualcosa mentre lui guarda la tv. Del resto, il maschio detesta che gli si parli mentre è intento a seguire un programma televisivo. Anzi, detesta proprio che…lei parli così tanto. Forse non sa che la chiacchiera è una sorta di necessità fisiologica, per la donna: nei centri cerebrali del linguaggio e dell’ascolto, le signore posseggono, infatti, l’11% di neuroni in più rispetto agli uomini.

Ebbene sì: i cervelli di lui e di lei son diversi. E ricordandolo, forse, eviteremmo molte arrabbiature di coppia. I codici genetici di maschi e di femmine sono per più del 99% identici, ma “i due cervelli hanno impronte genetiche diverse che creno differenze anatomiche“, si legge su uno degli ultimi numeri della rivista scientifica New Scientist.

I machi “meno colti” conoscono una sola differenza, e la ricordano volentieri nelle discussioni, e la ricordano volentieri nelle discussioni con il gentil sesso: il cervello dell’uomo è più grande. Vero. E per la precisione del 9%, in mdia; è pure più pesante: 1.300 grammi, contro i 1.100 della donna. Ma da circa un secolo si è scoperto che le misure non hanno nulla a che fare con l’intelligenza (il cervello di un elefante pesa circa cinque chili).

L’attività fisica migliora la performance mentale

Si, la notizia è incredibile: aumentano infatti gli studi sperimentali e clinici che riconoscono al movimento fisico un ruolo centrale nell’ottimizzare le performance mentali, ad ogni età. Non sappiamo quanto il dato ottenuto sui topolini possa tradursi automaticamente alla donna e al feto. Ma l’idea è suggestiva. Il movimento fisico può migliorare il funzionamento cerebrale attraverso un’azione biologica in quattro modalità: a) aumento del numero di cellule nervose nei centri cognitivi superiori, deputati a pensiero, calcolo e memoria (questo risultato si basa su un aumento delle sostanze che promuovono la capacità di crescita neuronale: “neurogenesi”); b) aumento della neuroplasticità, la capacità delle cellule nervose di stabilire nuove connessioni tra loro; c) aumento di nuovi vasi sanguigni nel cervello, per ottimizzare la nutrizione delle cellule, adeguandosi all’aumentata richiesta di ossigeno, glucosio e altre sostanze nutritive; d) riduzione degli effetti tossici sul cervello legati alla sedentarietà.

Il movimento fisico è una necessità quotidiana per tutelare il nostro strumento di eccellenza migliore, il cervello. Nell’infanzia, bambini e adolescenti che facciano regolare movimento fisico sono più tranquilli, più capaci di concentrazione e di memorizzazione e mostrano anche una migliore intelligenza emotiva e maggiore capacità di calcolo matematico. Negli adulti, fare sport mantiene indici di performance mentale migliori con un vantaggio che aumenta con il passare dell’età. Per la prevenzione, pochi praticano con costanza la terapia naturale più semplice ed efficace che c’è: muoversi in armonia, ogni giorno nel corpo e nella mente.

Palestre per donne: un luogo di rilassamento

 

Oggi parliamo di posti particolari che stanno sempre più diffondendosi anche in Italia, dopo che negli Stati Uniti sono già una moda del relax. Parliamo di palestre per sole donne. In questi luoghi, dove il consenso è altissimo mentre la presenza di uomini e specchi è decisamente scarsa (nulla in realtà), le donne riescono a dedicarsi a loro ad hoc.

Le frequentanti di queste palestre sono ragazze e donne di ogni età che hanno la necessità psico-fisica di sentirsi libere, di poter sudare liberamente e di portare i capelli legati e senza trucco, senza far si che debbano sentirsi osservate e modellare il proprio tipo di allenamento a seconda del giovane che sta all’attrezzo accanto.

Perché tagliarsi i capelli?

I capelli hanno sempre avuto un valore simbolico e si può dire che da quando cominciano le tracce scritte della storia, che nasce in uomini e donne è presente il piacere di ostentare la capigliatura, questo grande ornamento naturale.

Testimonianze sono giunte a noi già venti secoli a.C. , due documenti, il papiro di Harris e il papiro d’Orbiney, infatti possono essere chiamati a testimoniare di questi nostri lontani antenati.
Il papiro di Harris è un breve poema:

«il mio cuore è ancora una volta invaso dal tuo amore mentre solo metà delle mie tempie è coperta dalla treccia dei capelli. Corro in cerca di te … ma, ahimé, ora la treccia si è sciolta. Andrò a mettermi una parrucca e così sarò pronta in qualunque momento».

Non ci stupisce dunque che tutt’oggi i capelli e il modo in cui questi li curiamo, li tagliamo, li “allunghiamo”, abbiano per noi ancora un profondo significato, psicologico, di espressione del sé, di seduzione.

Secondo una ricerca inglese, ogni donna vuole una “testa nuova” in media 104 volte nel corso della vita. E la società in cui viviamo che ci impone di piacere.

Prendete Victoria Beckham, in ogni foto ha un taglio e un colore di capelli diverso: ha cominciato a quindici anni quand’era una Spice Girl e a 36 non ha ancora smesso. Prendete anche Irene Pivetti: l’ex presidente della Camera, è donna dalle molte vite (e dalle molte teste). La lettura tradizionale della smania che ci porta dal parrucchiere ha a che fare con l’autostima da conquistare, con l’arrivo di un nuovo partner.

Perchè perdiamo spesso gli oggetti?

 

Oggi esaminiamo insieme il fenomeno degli oggetti smarriti sotto il punto di vista sociologico ed anche psicologico. L’uomo medio è in grado di perdere di tutto, a partire dal cellulare, passando per il portafogli (vuoto o pieno che sia) ed anche le chiavi di casa o della propria autovettura. Un’inchiesta del Censis ha infatti dimostrato che nei vari comuni d’Italia negli uffici oggetti smarriti dei Vigili Urbani o di altre Forze dell’Ordine si trova di tutto, anche gli oggetti più impensabili.

Proprio di recente il sociologo Enrico Finzi, ha parlato del “vizio di perdere gli oggetti” e soprattutto del fatto che quest’ultimo oltre ad essere un fenomeno molto diffuso è destinato ad aumentare nel tempo per un fattore psicologico, dato che la distrazione aumenta sempre più con l’età; ma anche da un punto di vista sociologico perchè con l’invecchiamento dell’intera società, le dimenticanze vengono trasmesse e di seguito aumentate.