Se usciamo, o ci crediamo, perdenti da un confronto che ci siamo imposti in maniera abbastanza autolesionista dovremmo chiederci con quale criterio abbiamo scelto il nostro “rivale”. Se si tratta di un nostro collega, comune mortale, piuttosto che di un familiare o ancora di un vicino di casa, non ci stiamo mettendo troppo in difficoltà. Al contrario, se il termine di paragone è un personaggio famoso, un VIP, giunto all’apice del successo e della sua carriera, è ovvio che ci siamo flagellati con una sfida invincibile.
A volte, però, malgrado i nostri buoni propositi di non rapportarci quasi spasmodicamente all’altro, a colui che lievita sul gradino superiore, è la società che ci impone di mettere in discussione quello che siamo, osannando esempi limite di una perfezione tanto celebrata quanto spesso molto costruita e poco veritiera.
Ne parla in un recente studio, davvero molto interessante, Carlo Strenger, docente di psicologia alla Tel Aviv University di Israele.