Nella tragedia prima gli uomini..poi le donne e i bambini

Come ci si comporta quando una tragedia ci colpisce, una catastrofe sconvolge, distruggendo la nostra e altrui vita, dovremmo forse rivedere il nostro concetto di bene e male ? Di ciò che va fatto, che immorale da ciò che non lo è ? Purtroppo il risultato che emerge dallo studio di due celebri naufragi  svela un’amara verità. Amare gli altri? Essere empatici? Prenderci cura delle persone?  “Pensare  – come ci insegna il vangelo – al prossimo tuo come a te stesso?”  

Si…probabilmente è in questo modo, nel dolore estremo, l’uomo manifesta una grande capacità a solidarizzare e ad aiutare chi è più vulnerabile, in difficoltà ma solo e se avanza abbastanza tempo per salvare la propria vita.

L’Italia non è una nazione per giovani ma neanche per anziani

L’Italia? Senza ombra di dubbio, possiamo dire che non è una nazione per giovani ma neanche per anziani. Il concetto è semplice ma non così scontato come potrebbe sembrare all’apparenza. Questo ce lo ricorda Loredana Lipperini in una sua nuova ricerca della società italiana, intitolata: Non è un paese per vecchie (Feltrinelli, pp. 208, euro 15). Dopo il bellissimo: Ancora dalla parte delle bambine, la giornalista e scrittrice, capace di analisi lucide ed estremamente intelligenti, ci propone un’altra sua indagine sull’universo femminile, in una realtà, la nostra, terribilmente contraddittoria e ‘mass-mediologica’.

Nel Paese in cui ci si intrattiene piacevolmente (e lo share conferma), con programmi tv come “Velone” e la dittatura dell’estetica è in gran forma (da non sottovalutare anche quella della chirurgia plastica), vi è una malintesa idea del divertimento che si realizza soprattutto nel ridicolizzare chi è in difficoltà, accanendosi verso il più debole, come appunto accade per le donne anziane (si sprecano riguardo a questo argomento, video e commenti in rete). 

La vergogna non è sempre negativa

Si pronuncia la parola vergogna e subito arrivano alla mente idee negative. Si pensa alla vergogna di chi ha commesso un errore, anche molto grave, e viaggerà a lungo accompagnato da un pesante senso di colpa. Eppure, questa emozione, non è sempre negativa.

Perché può essere una bussola che ci dà una direzione: se si prova vergogna per un’azione compiuta, per esempio per aver tradito la fiducia di un amico o deluso le aspettative di chi si ama, vuol dire che questo comportamento è andato contro la propria morale, ha infranto quelle regole profonde che fanno parte di sè. E questo dolore farà da monito per evitare di commettere ancora uno sbaglio simile. Insomma, la vergogna assomiglia a una specie di fitta, che risveglia la propria etica e aiuta ad agire meglio. Un tempo, poi, c’era la vergogna che sentiva chi era additato perchè diverso, per il colore della pelle, per i suoi ideali o per la sua storia.

Pensiamo alla tristezza come ad una risorsa

La tristezza fa pensare immediatamente alle stagioni. Tra tutte, assomiglia all’autunno, perché il tono dell’umore va in caduta libera, come il sole e le foglie. Ma è un’emozione decisiva perché riesce ad azzerare la nostra identità e a portare un nuovo modo di essere, se la si vive al meglio, se la si accoglie. E proprio qui sta il grande dilemma contemporaneo, perché noi ci ostinamo a combatterla a suon di domande inutili. O, addirittura, ad annullarla a colpi di estenuanti bombardamenti di psicofarmaci, che hanno un solo risultato: aprire la strada alla depressione.

Invece, dobbiamo riuscire a comprendere che l’anima è la parte più autentica e saggia di noi. Non sbaglia mai. E se fa arrivare dentro noi stessi la tristezza è per farci capire che stiamo facendo un percorso sbagliato, che il nostro essere si sta snaturando e che esistono delle alternative salvifiche ai modelli di oggi. Per questo dovremmo lasciare che il dolore si espanda. Perché, infondo, è come un parto, come la rottura delle acque che è presagio di nuova vita. Come una porta che si spalanca all’arrivo di un’energia creatrice, che ci rigenera. Come una benedizione che ci allontana dagli errori e ci regala un’altra possibilità per essere veramente noi stessi, nel mondo più vero.

Reprimere la rabbia..ti fa arrabbiare di più

Non è possibile dare una risposta univoca alla rabbia, dato che è a fondamento di tutte le teorie psicologiche ed è sovente a capo delle motivazioni che sottendono alle manifestazioni espressive, alle modificazioni corporee e alle azioni (non disgiunte ovviamente alle nostre reazioni).

 E’ un’emozione primitiva e quindi è possibile osservarla e monitorarla in diverse fasce d’età nonché in specie diverse dall’uomo.

 Gioia, dolore e rabbia sono le prime emozioni in cui ci imbattiamo ed iniziamo a conoscere ma la collera, a differenza delle altre, viene “educata” molto presto all’inibizione o quanto meno al controllo. Pertanto sono fondamentali in tal senso gli studi evolutivi in grado di analizzarla sia quando è “compressa” che nelle espressioni più evidenti e libere.

Si può dire inoltre che l’ira è parte di un “sottogruppo” in cui sono incluse ostilità, disgusto e disprezzo e ne rappresenta l’emozione di base e che pur trovandosi spesso “assieme”, presentano eziologie e conseguenze diverse sui nostri comportamenti.

La rabbia in molti casi è la risposta fisiologica che diamo alla frustrazione e alla costrizione, sia fisica che psicologica. Naturalmente non sempre e non in tutti i casi, queste ultime rappresentano le micce perché deflagri, spesso interviene la responsabilità e la consapevolezza che si attribuisce ad un persona o evento come cause ultime e scatenanti.

Lo Zen? Una terapia contro il dolore

La meditazione? Non è solo una via per raggiungere la pace interiore, ma si rivela anche un prezioso alleato contro la sofferenza fisica. Secondo una recente ricerca, infatti, chi si dedica in modo costante a questa pratica ha una tolleranza del dolore più elevata rispetto alla popolazione generale.