Il lavoro nobilita l’uomo. Questa è la convinzione principale. Il duro lavoro forma e garantisce per ogni individuo una crescita sia personale che professionale. Oggi vogliamo parlarvi di una ricerca attuata dagli studiosi dell’Università di Tour. Considerando l’opinione di numerosi lavoratori di diverse aziende, più o meno piccole, hanno constatato che se un individuo non è felice sul proprio posto di lavoro è colpa del suo datore di lavoro.
infelicità
Infelicità? Buttarsi nel lavoro non serve
Quante volte dopo una delusione amorosa abbiamo deciso di buttarci a capofitto nel lavoro per non pensare? Questo modo di fare fa sì che per l’individuo il lavoro diventi più importante di qualsiasi altra cosa ed una vera e propria esigenza. Per questo, viene chiamata workaholism la sindrome da dipendenza dal lavoro che rappresenta un disturbo ossessivo-compulsivo e che dà origine ad un vero e proprio comportamento patologico. Oggi, a proposito di questo, vogliamo parlarvi dei risultati di una recente indagine condotta presso la Kingston University di Londra.
Lamentarsi, un impulso poco salutare
Lamentarsi è una reazione piuttosto istintiva ed immediata, rafforzata dalla convinzione che possa servire a liberarsi di quello che non va. Tuttavia, i lamenti non servono a risolvere davvero i problemi, al contrario, sono l’alibi perfetto per non reagire e per continuare a vivere la propria esistenza nell’infelicità.
Le donne sono le più infelici a lavoro
A pubblicare questa “triste verità” è la rivista Jezebel sul suo sito Internet. Si tratta di un sondaggio promosso da Captivate Network, canale americano di informazione e news. Si è tracciato il profilo della lavoratrice più infelice del mondo. Molte potranno non essere d’accordo o al contrario riconoscersi appieno in questa figura, ma sembrerebbe che l’identikit della donna moderna in carriera e soddisfatta nasconderebbe in realtà tanti fantasmi. Il ritratto dell’infelicità sarebbe una donna single, quarantenne, con un discreto reddito, probabilmente un medico o un avvocato.
Quella perfezione che rende infelici
La ricerca della perfezione, forse l’unica tra le sfide che nella vita non vale la pena di iniziare perché non ci porterà ad altro che ad un inseguimento tanto vano quanto improduttivo. Per alcuni diventa un’ossessione chiamata perfezionismo, una smania di precisione, fino al più piccolo dettaglio che può mandare in crisi non solo la felicità individuale ma anche i momenti belli di condivisione, le relazioni interpersonali, per delle inezie, per una macchia impercettibile di colore nello sfondo bianco e piatto di un’esistenza creata e fondata sul tutto giusto, tutto perfetto, tutto ordinato.
L’ invidia e la superbia sorelle del disprezzo
L’ invidia e la superbia sono sorelle di un unico sentimento dato dal disprezzo verso la realtà esterna e più sottilmente verso il proprio mondo interiore: sentimenti di insoddisfazione sono piuttosto comuni e quando non diventa patologia, malattia, nessuno può dirsi immune da questi.
Sono emozioni forti e che percepiamo in modo negativo e distruttivo e per difenderci, spesso vi opponiamo una strenua difesa.
La mente però difficilmente accetta dei “no” e degli obblighi, reprimendo questo malessere, corriamo il rischio di diventare schiavi di un’ossessione, di ingigantire i timori, provocando a catena altre sensazioni spiacevoli, quali vergogna, senso di inadeguatezza e debolezza.
Il senso di colpa che ci funesta è dato dal fatto che il più delle volte proiettiamo le nostre ombre sugli altri, non riuscendo ad ammettere che queste difficoltà di interazione con le persone e con gli eventi c’appartiene interamente.