Il nome? Meglio semplice da pronunciare

 Non è sempre facile scegliere il nome da dare al proprio figlio: a volte si vuol cercare di essere originali a tutti i costi, o di non dare il nome che, magari, ha già qualcun altro in famiglia o fra gli amici. Forse sarebbe meglio, invece, rischiare di essere un pò “banali”, ma dare un nome semplice e facile da pronunciare. Infatti, secondo una ricerca condotta da un gruppo di studiosi australiani e americani, guidati dal dottor Simon Laham della Melbourne University, le persone con un nome semplice da pronunciare hanno più successo in campo lavorativo, riescono più facilmente a fare nuove amicizie e sono giudicate nel complesso più positivamente.

Pregiudizi e razzismo? Possono dipendere dalla società

 Secondo un recente studio condotto da alcuni ricercatori del Georgia Institute of Thecnology, l’ambiente culturale circostante- nella fattispecie, quello americano-può contribuire a far insorgere pregiudizi razzisti o sessisti. Secondo questa ricerca, infatti, film, televisione, radio e letteratura americane potrebbero rafforzare certi stereotipi.
 Il dottor Paul Verhaeghen, psicologo, che ha condotto tale ricerca, ha spiegato infatti: ” Si pensa che le persone tendono ad associare la gente di colore con la violenza, le donne con la debolezza, o gli anziani con la smemorataggine, perchè hanno dei pregiudizi. Ma c’è un’altra possibilità, che ciò che pensi non sei te, ma l’ambiente culturale intorno“.

Pregiudizi, radici evolutive da sconfiggere con la tolleranza

 I pregiudizi nei confronti di gruppi sociali che reputiamo diversi da noi, quella tendenza innata ad instaurare un rapporto di contrapposizione del tipo noi contro loro, hanno radici lontane. Alla ricerca dei pregiudizi perduti si è messa un’équipe di ricercatori di Yale, scoprendo che anche i nostri cugini primati hanno questa tara di percepire chi è diverso come necessariamente in contrapposizione.

La psicologa Laurie Santos ha dimostrato, servendosi di una serie di ingegnosi esperimenti, che anche le scimmie trattano gli esemplari estranei al loro gruppo di appartenza con lo stesso sospetto e la stessa avversione che spesso si osserva nelle prime interazioni degli esseri umani con gli altri.

Il vuoto delle idee si sostituisce con il pregiudizio

 Rom, moschee, la libertà e la sicurezza, rappresentano il sottilissimo filo rosso che lega il noi di dentro e loro di fuori. Siamo sicuri che le ideologie, certe ideologie siano morte? E’ ideologico infatti il rifiuto a priori degli zingari in quanto zingari o degli islamici in quanto islamici.

E non si può negare che ideologico è anche il rifiuto opposto della realtà, il non voler vedere ciò che l’esperienza quotidiana suggerisce: spesso gli insediamenti rom calamitano in modo “irresistibile” la criminalità e nei riguardi dell‘islam, ahimè è un fenomeno piuttosto drammatico la mancata reciprocità tra la diverse culture e non di rado le moschee in Occidente diventano luoghi di reclutamento dell’odio e perfino del terrorismo antioccidentale.

Quali le posizioni dei leader internazionali? Di Sarkozy sui rom e il burqua, sappiamo di certo che dà corpo a due istanze: risponde alle generalizzate paure delle persone e ad  una sua personale esigenza di consensi, visto che era in difficoltà. Di diverso avviso Obama sulla moschea a Ground Zero, scelta giusta e coraggiosa ma di certo poco condivisa dalla maggior parte del suo Paese.

La diffidenza ti allontana dagli altri

  

Quante volte ci siamo chiesti di qualcuno se gli si potesse concedere la nostra fiducia, se non ci stesse invece mentendo o ancora se davvero c’avrebbe sostenuto in quel nostro progetto, idea o confronto.

La diffidenza è un misto di ansia e pessimismo e di un evento ci dà la misura del pericolo, di un fallimento. Come sostiene Maura Amelia Bonanno, antropologa culturale esperta di Enneagramma a Lavagna (Ge)Si tratta di un atteggiamento spesso sproporzionato alla situazione reale, che può inibirci e paralizzarci dal vivere pienamente. Chi è molto diffidente arriva a mettere in dubbio il positivo, a non avere un’attitudine aperta verso il mondo. Anzi, è pieno di pregiudizi”.

L’origine di tale atteggiamento come è intuibile, ha radici profonde nell’infanzia. Un pioniere nell’indagine dello sviluppo infantile e quindi dei comportamenti che condizioneranno il bambino anche da adulto, è stato lo psicanalista americano Erik Erikson che nei primi anni cinquanta con l’espressione “fiducia di base” e “sfiducia di base”, ha definito la fase dello sviluppo che dalla nascita va fino ai due anni d’età, un momento particolare, in cui il bambino avverte la “benevolenza” del mondo, sentendosi accolto.