Perché i bambini odiano andare a scuola?

 Manca ancora qualche settimana all’inizio del nuovo anno scolastico e per molti genitori si profila all’orizzonte la classica avversione dei bambini per il ritorno tra i banchi. Se vostro figlio non ama andare a scuola non necessariamente è colpa vostra piuttosto che dell’insegnante o di questo o quel compagno di classe, questa o quella materia odiata. Né c’è qualcosa che non va in lui. Probabilmente sta benissimo, anzi. A dirlo la dottoressa Judy Willis, insegnante e neurologa americana, autrice di numerosi saggi sull’educazione e l’apprendimento, tra cui How Your Child Learns Best: Brain-Based Ways to Ignite Learning and Increase School Success.

Successo, l’importanza di avere buoni insegnanti

 Quanto conta avere dei buoni insegnanti nei primi anni di vita per il successo futuro e soprattutto cosa si intende per buoni insegnanti? Tutti noi ricordiamo, nel bene e nel male, i nostri primi maestri. A pensarci bene, a distanza di anni, quelli che ci tornano in mente e ringraziamo sono quelli che si sono interessati a noi, facendone quasi una questione personale, spingendoci a dare di più, quelli che mostravano passione per la loro materia di insegnamento, quelli più severi che ci hanno spronato a fare sempre meglio, quelli pazienti.

Lezioni via Twitter in classe per coinvolgere gli studenti introversi

 Le potenzialità delle nuove piattaforme di comunicazione simultanea nell’insegnamento sono infinite anche se ancora poco esplorate. Twitter, ad esempio, può conferire maggiore attrattiva ad una altrimenti noiosa lezione di storia. E ancora, può coinvolgere anche studenti con una personalità timida ed introversa in una discussione che altrimenti li avrebbe visti relegati in un angolo, zittiti dal timore di sbagliare o di dire sciocchezze. Un tweet abbassa al contrario le aspettative, scalando ad un tono più informale la conversazione, affidando ad opinioni ed impressioni elementari, non eccessivamente impegnative ed articolate, la propria partecipazione al discorso.

Identikit del fenomeno del bullismo

Quali i presupposti per diventare bulli? E’ presto detto: famiglie inesistenti, videogiochi violenti, mancanza di regole. Questo è l’identikit che Paola Vinciguerra, psicologa, presidente dell’Eurodap (Associazione europea disturbi da attacchi di panico), dà del fenomeno.

Spiega la Vinciguerra che ” Il dato più interessante e allo stesso tempo preoccupante  è che il 70 per cento delle persone che hanno risposto al nostro sondaggio online, quelle con un’età compresa tra i 18 e i 45 anni, considerano il bullismo unicamente come comportamento di trasgressione sociale, come può essere quello di vestirsi in maniera appariscente riempiendosi di piercing, per esempio“.

Il problema dunque, sta proprio nel fatto che adolescenti e genitori non considerano il bullismo come un problema di grande rilevanza. La psicoterapeuta, anche direttore dell’Unità italiana attacchi di panico (Uiap) presso la Clinica Paiedia di Roma, però ci rassicura sul fatto che “il 50 per cento di coloro che hanno risposto al sondaggio, e che hanno un’età compresa tra i 45 e i 55 anni, riconosce il fenomeno come realmente esistente ed allarmante, riconducendone la responsabilità primaria alle istituzioni e in modo particolare alla scuola“. L’età adulta dunque non è indifferente a tale grave problema.

Il bullismo è da ricercare pertanto nella sfera familiare e in quella scolastica e istituzionale. La nuova struttura familiare è diventata fragile, il simulacro di se stessa. I genitori con le loro separazioni, non sono più in grado – ammesso che precedentemente ne fossero capaci – , di rappresentare per i figli un solido riferimento indistruttibile, tanto sono precari e lontani dalle esigenze dei bambini e degli adolescenti.