Se usciamo, o ci crediamo, perdenti da un confronto che ci siamo imposti in maniera abbastanza autolesionista dovremmo chiederci con quale criterio abbiamo scelto il nostro “rivale”. Se si tratta di un nostro collega, comune mortale, piuttosto che di un familiare o ancora di un vicino di casa, non ci stiamo mettendo troppo in difficoltà. Al contrario, se il termine di paragone è un personaggio famoso, un VIP, giunto all’apice del successo e della sua carriera, è ovvio che ci siamo flagellati con una sfida invincibile.
A volte, però, malgrado i nostri buoni propositi di non rapportarci quasi spasmodicamente all’altro, a colui che lievita sul gradino superiore, è la società che ci impone di mettere in discussione quello che siamo, osannando esempi limite di una perfezione tanto celebrata quanto spesso molto costruita e poco veritiera.
Ne parla in un recente studio, davvero molto interessante, Carlo Strenger, docente di psicologia alla Tel Aviv University di Israele.
La tesi dello studioso sposa l’idea che oggi più che mai l’uomo comune si sente ancora più insignificante proprio in virtù dell’esposizione mediatica costante ed assillante alle celebrità. L’insicurezza individuale, la mancanza di fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, la scarsa autostima stanno raggiungendo picchi vertiginosi proprio perché assistiamo ai successi dei personaggi famosi, spiattellati in mondovisione 24 ore su 24. Persone che influenzano migliaia di individui, capaci di grandi cose e di fare la differenza, davanti alle quali ci sente imparagonabili.
Un fenomeno che Strenger ha studiato per ben dieci anni, analizzando i dati raccolti sui suoi pazienti ma anche revisionando ricerche focalizzate sull’incremento di ansia e depressione. Abbiamo assistito alla nascita di quello che lo studioso ha identificato come l’homo globalis, un uomo creato dal sistema mediatico che si confronta, non più con chi ha vicino, ma con le celebrità. L’homo globalis sviluppa spesso l’ossessione per la ricchezza e la notorietà oltre che una sensazione, opprimente, di non poter reggere il confronto e di essere insignificante.
[Fonte: ASCA]
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