Il caffè non sempre ci rende più attivi

di Luca Fiorucci 0

Bere una tazza di caffè in Italia è una tradizione, nonchè un modo spesso utilizzato per mantenerci più svegli e concentrati quando dobbiamo magari svolgere qualche lavoro. Secondo uno studio dell’University of British Columbia, però, la caffeina e le anfetamine possono avere effetti diversi a seconda dei soggetti, e magari rendere alcune persone più attive, altre più pigre.

Nella ricerca condotta su alcuni ratti da laboratorio si è infatti visto che, in seguito all’assunzione di anfetamine o caffeina, i ratti più “fannulloni” sembravano disposti ad affrontare fatiche sempre più pesanti, mentre quelli che normalmente erano più attivi diventavano più pigri e meno disposti a faticare o a impegnarsi in qualcosa.
Secondo gli studiosi, l’esito di questa ricerca può essere importante, anche perchè ciò vorrebbe dire che i pazienti trattati con farmaci stimolanti possono reagire in maniera diversa a tali farmaci, e quindi hanno bisogno di cure adattate alla singola persona. Il dottor Jay Hosking, che ha condotto lo studio, ha spiegato:

Ogni giorno, milioni di persone usano stimolanti per svegliarsi, restare vigili e aumentare la loro produttività-dai camionisti che guidano tutta la notte agli studenti che si preparano per gli esami. Questi risultati fanno pensare che alcuni stimolanti possono realmente avere un effetto opposto per le persone che naturalmente preferiscono i compiti difficili della vita che vengono con ricompense più grandi.

Il dottor Hosking ha inoltre aggiunto che alcune persone sono più disposte a concentrarsi e a fare anche degli sforzi per raggiungere i loro obiettivi rispetto ad altre, anche se attualmente si sa poco riguardo ai meccanismi mentali che determinano quanta fatica uno è disposto a sopportare per portare a compimento determinati compiti. Secondo gli studiosi, però, anche se bisogna svolgere ulteriori ricerche per comprendere i meccanismi del cervello quando si lavora, da questo studio emerge che la quantità di attenzione mentale che le persone dedicano al raggiungimento dei loro obiettivi può avere un ruolo nel determinare in che modo gli stimolanti agiscono su di loro.
Secondo la professoressa Winstanley, coautrice della ricerca, questa dimostra anche che le persone con disturbi psichici, lesioni cerebrali o con la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) possono trarre giovamento da cure maggiormente personalizzate, dal momento che spesso queste persone prendono stimolanti per contrastare la sonnolenza e la sensazione di affaticamento, con vari risultati. La professoressa Winstanley ha affermato: “Questo studio suggerisce che ci possono essere importanti benefici nel tenere maggiormente in conto le differenze cognitive basilari tra gli individui quando si considerano i programmi di cura”.

Foto Credits/Teo su Flickr

L.F.

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