Oggi parliamo di una fobia che colpisce tanti individui: la claustrofobia. Ma procediamo per gradi: cos’è la claustrofobia? Deriva dal latino claustrum, ovvero luogo chiuso, e phobia, dal greco che significa paura. In pratica è la è la paura di luoghi chiusi, luoghi angusti dove l’individuo si sente accerchiato e privo di libertà spaziale attorno a sé.
Da una recente ricerca condotta da un team di neuroscienziati della Emory University, ed apparsa sul magazine di settore “Cognition”, sembrerebbe che la claustrofobia, sia direttamente collegata ad un errore di valutazione degli spazi orizzontali. Per i ricercatori, chi soffre di questo disturbo, evita sempre gli spazi in cui le pareti sono troppo vicine alla vista. Non è chiaro se al discorso di prossemica è legata la distorsione della percezione spaziale, oppure al contrario, ma fatto è che la claustrofobia, è una sensazione che almeno una volta nella vita tutti hanno vissuto.
Si tratta di una delle fobie più diffuse che si trovano tra gli uomini, ma in maniera cronica, riesce a colpire ben il 4% della popolazione terrestre, portando spesso ad attacchi di panico violenti, difficoltà di respirazione, aumento della sudorazione, iperventilazione respiratoria, nausea allo stomaco, senso di oppressione e forte paura. Gli studiosi della Emory University, hanno però dichiarato che in ogni modo la claustrofobia normale non crea disagi, come quella cronica che può trasformarsi per l’individuo in esperienza traumatica.
La sensazione è di solitudine e vuoto. A spiegarlo è la dottoressa che ha diretto lo studio, Stella Lourenco, dichiarando:
“L’osservazione dei meccanismi cerebrali e psicologici tende invece a collegarla con una percezione distorta delle cose che sono vicine rispetto a quelle distanti, sia in chiave utilitaristica che difensiva”.
Proprio per questo motivo, si dichiara che la distanza orizzontale percepita in modo errato, oltre alla claustrofobia porta anche alla acrofobia (la paura delle altezze e dei luoghi elevati).
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