Stress, insonnia e palpitazioni: sono questi gli effetti maggiori che stanno sperimentando medici e infermieri impegnati nella lotta contro il Coronavirus per salvare la vita dei propri pazienti. La classica sindrome di burnout che fa tutt’altro che bene all’organismo e al sistema immunitario.
Coronavirus e conseguenze psicologiche
Lo rivela uno studio dell’Università Cattolica di Milano, secondo il quale almeno il 70% dei sanitari impegnati a contrastare la pandemia nelle regioni più colpite, cioè Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, mostra sintomi di burnout, soprattutto ora che la curva sta calando e l’adrenalina scatenata dall’emergenza sta scemando. Fortunatamente è in netto calo il numero di sanitari che si ammalano e muoiono ma sta salendo quello di coloro che stanno sperimentando conseguenze psicologiche dopo aver accumulato malessere emotivo per più di due mesi.
Medici, infermieri, oss: tutte quelle figure costrette ad andare avanti a prescindere all’interno dell’ospedale iniziano a risentire ora di quel che è stato un periodo per loro molto difficile da affrontare, ma cosa significa burnout? Cosa provano queste persone, definite giustamente eroi, ora che i ritmi stanno rallentando? Soprattutto tanto stress associato a una minore resa sul lavoro accompagnato da affaticamento fisico e mentale.
I numeri di un problema radicato nel personale
Nel corso dello studio condotto dall’Università Cattolica di Milano è emerso che tra gli intervistati il 65% si sente più irritabile; il 60% soffre d’insonnia e il 50% ha incubi ricorrenti. Non solo: il 45% sperimenta spesso crisi di pianto e il 35% soffre di palpitazioni. Nel corso del picco dell’emergenza Coronavirus negli ospedali, 8 su 10 hanno raccontato di aver avuto paura di essere stati contagiati a prescindere dalla propria esperienza e dalla protezione posta in essere. Almeno un terzo degli operatori presenta sintomi di alto esaurimento emotivo e almeno uno su quattro mostra livelli moderati di depersonalizzazione: ovvero tendenza al cinismo e a trattare gli altri come “oggetti” provando indifferenza.
Fortunatamente vi è anche coscienza di questo stato di cose e i numeri parlano anche chiaro di come la maggior parte del personale sanitario stia cercando aiuto per i propri problemi. Tra coloro che mostrano i maggiori segni di stress vi sono gli infermieri, più vicini ai malati e i tecnici di laboratorio che per mesi hanno lavorato di continuo per assicurare nel minor tempo possibile l’esito di esami necessari a curare la popolazione.
Le reazioni al malessere sono differenti: c’è chi ha bisogno di una terapia a lungo termine per riprendersi e chi necessita semplicemente di un singolo dialogo con un esperto per metabolizzare l’esperienza e riprendersi.