Cari amici di Iovalgo, proseguiamo il nostro speciale sulla psicoterapia breve strategica a fianco del professor Giorgio Nardone, ideatore del trattamento breve contro fobie ed altri disagi psicologici.
Dopo aver introdotto il metodo, abbiamo chiesto allo psicoteraupeta di illustrarci alcuni casi di applicazione pratica della TBS a fobie più o meno comuni. Oggi ci occuperemo di una patofobia molto diffusa: la cardiofobia.
Arrivò da me una donna di mezza età, accompagnata dal marito, il quale, assai preoccupato per lei, l’aveva spinta ad incontrarmi per risolvere il suo problema. Da alcuni anni, dopo la morte del padre avvenuta per un improvviso infarto cardiaco, la signora era caduta nel panico. Si era convinta che sarebbe accaduto anche a lei e così per arginare l’impatto del pauroso evento, aveva iniziato a focalizzare la propria attenzione sull’ascolto ed il controllo del ritmo cardiaco, con il risultato però di sentire segnali minacciosi e variazioni del battito. Pertanto si era creata una situazione paradossale per cui più la signora cercava di volersi rassicurare e tutelare attraverso le rilevazioni cardiache autoindotte e più si scatenava le sensazioni del panico, che le provocavano regolarmente una corsa al Pronto Soccorso. La donna era così diventata la disperazione dei cardiologi dell’ospedale della sua cittadina, che cercavano di rassicurarla, senza riuscirci: lei pretendeva sempre un elettrocardiogramma.
La farmacoterapia a base di ansiolitici e antidepressivi che lei era stata somministrata, aveva sedato le sue reazioni senza intaccare minimamente la fissazione fobica. In aggiunta, poiché lei temeva sia il battito accelerato che quello rallentato, la sedazione farmacologica aveva incrementato in lei il panico che il suo cuore potesse fermarsi di colpo.
Come prima manovra terapeutica inizia ad assecondarla, affermando che era importante sapersi ascoltare e monitorare i segnali del proprio corpo ed in particolare del nostro organo fondamentale: il cuore. Però, ciò doveva essere fatto in modo rigoroso e puntuale, affinché le rilevazioni fossero davvero utili, così le prescrissi:“Da oggi a quando ci rivedremo lei dovrà, allo scoccare di ogni ora- alle 8, alle 9, alle 10, eccetera- effettuare la rilevazione del suo battito cardiaco misurandolo dal polso. Ma per essere rigorosi dovrà eseguire 3 misurazioni di un minuto, intervallate da un minuto di attesa. Annoti su un taccuino tutte le risposte, così avremo un’effettiva osservazione del comportamento del suo ‘cuore pazzerello’. Da tutto ciò capiremo cosa fare per tenerlo a bada”.
Tale indicazione fu data come una pratica di indagine conoscitiva, ma in realtà era una potente prescrizione terapeutica che aveva come scopo quello di introdurre nella mente della paziente qualcosa in linea con la sua prospettiva ma capace di sovvertirne il patologico equilibrio.
Due settimane dopo la donna affermò soddisfatta di aver eseguito alla lettera il compito e che le era sembrato davvero utile e rassicurante, in quanto si era resa conto che il suo cuore si era comportato proprio bene: dalle sue annotazioni risultava regolare e con un ritmo pressoché perfetto. Per la prima volta dopo molto tempo non era ricorsa al Pronto Soccorso, né al medico. Aggiunse che dopo la prima settimana talvolta aveva trovato faticoso eseguire rilevazioni ogni ora, visto che non si sentiva preoccupata.
Tuttavia le prescrissi di continuare nel sistematico lavoro di controllo del cuore, ma allentando un po’ il ritmo: “solo” ogni due ore, ma sempre per 3 volte come in precedenza.
Al successivo appuntamento, calma e sicura come non mai, la paziente riferì che tutto andava bene e che “stranamente” il suo cuore da un mese stava “facendo il bravo”. Sorridendo affermò di aver iniziato a sospettare che la mia prescrizione fosse molto più di una semplice rilevazione delle variazioni del suo battito cardiaco. Le suggerii così di scoprire cosa fosse celato dietro la prescrizione continuando a metterla in pratica, ampliando a 3 ore lo spazio tra una rilevazione e l’altra.
La terapia ha proseguito per altre sedute sino alla naturale estinzione della consegna ed alla piena consapevolezza della donna, di come tale indicazione avesse ribaltato la sua patogena percezione del battito cardiaco, conducendola ad una sorta di “eutanasia”. Nel linguaggio degli antichi stratagemmi questo sarebbe stato definito “sbattere l’erba per far scappare i serpenti”.
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