Quanti ne abbiamo conosciuti e al ristorante o al bar, danno sempre il meglio di sé. Le mani in tasca al momento del conto fingono che la cosa non li riguardi e quando proprio devono, ti accorgi che sono arrabbiati perché hanno un colore bluastro e ti chiedono di poter guardare lo scontrino.
Questo è il tipico esempio di avaro, in definitiva di persona che non è in grado di donare. L’avaro è incentrato unicamente all’accumulo di denaro. Il denaro non è più un mezzo ma il fine ed al suo confronto niente altro è importante.
Il denaro per l’avaro è l’espressione più profonda dell’io e del suo potere. Il ragionamento che fa è: “Ho, quindi sono“. Si impegna a raccogliere lungo tutto il corso della sua vita denaro che però non spenderà mai. Questo potere lo rassicura anche se sa che non potrà mai esercitarlo, in quanto verrebbe meno proprio nel momento in cui tentasse di farlo e quindi nel momento in cui spendesse il suo denaro.
Gli altri affetti e valori della vita sono poco importanti per lui, così come tutto ciò che non può essere monetizzato e falsamente si racconta che potrà utilizzarli in un futuro piuttosto vago che è evidente non si realizzerà mai.
Psicologicamente in questo modo crede di neutralizzare l’angoscia di ciò che gli riserva il futuro e della morte.
E non si rende conto che le sue costrizioni, lo rendono estremamente infelice e irrealizzato, la morte è anche la mortificazione di un desiderio, di un’aspirazione. L’avaro non solo avverte forte il timore del futuro e quindi tende ad essere immobile e a non investire in nessun rapporto (infatti non rischia mai nulla, proprio per non disperdere le energie) , è diffidente nei confronti degli altri, proprio perché li percepisce come delle minacce al suo potere e dunque al denaro. Il problema di queste persone è una forte deprivazione nell’infanzia, non essendogli stato loro insegnato a donare nell’infanzia , il denaro diventa né più ne meno che la compensazione dell’affetto e della sicurezza che non ha ricevuto.
Il problema però non è solo di chi non è in grado di dare agli altri ma anche in chi riceve e lo vive come un disagio. Inoltre, così come si può imparare a donare, si può anche imparare a ricevere. In che modo?
Chi riceve infatti diventa dipendente dal donatore. E quindi si crea un legame di presunta sottomissione, un forte senso di vulnerabilità.
La “capacità”, la propensione a ricevere un dono, implica, disponibilità, saper ringraziare ed esprimere gratitudine e riconoscenza.
Per Piaget, in realtà l’essere capaci di accettare un dono e mostrarsi contenti per questo è già ricambiare, è un regalo che facciamo a nostra volta al ricevente. Da qui la convinzione, non infondata, per cui il dono è una carineria che in realtà procuriamo a noi stessi
Disporsi a ricevere un dono, permette di entrare profondamente in relazione, ad esprimere a chi ci dimostra tale premura, affetto, attaccamento.
E’ importante però avere un buon equilibrio con le nostre aspettative, evitare dunque eccessive idealizzazioni, renderci conto che anche le persone a cui vogliamo bene possono fare degli errori, non conoscere i nostri gusti alla perfezione e considerare il dono non tanto nella sua oggettività ma nell’intenzione che lo accompagna, nel desiderio di entrare in sintonia con i nostri desideri, con i nostri bisogni nel proposito di colmarli.