Premetto che adoro Facebook e lo uso ogni giorno mantenendo però un profilo alto, senza scendere troppo nel personale, perché sono consapevole di che strumento potente possa rivelarsi, di come per molti rappresenti un modo di conoscere una persona reputato decisamente troppo attendibile. Basta poco per ritrovarsi delle etichette piuttosto scomode appiccicate addosso: l’eretico, l’antiberlusconiano ossessivo, il moralista, quello che ha sempre voglia di scherzare, il nullafacente, il presuntuoso, la vittima, il permaloso, la lagna, lo sdolcinato, il vanitoso, un po’ come nella vita, insomma, solo che manca il riscontro effettivo tra ciò che pubblichiamo e ciò che siamo, specialmente con i contatti che non conosciamo personalmente e sono spesso tanti.
Facebook è un po’ come lo specchio dei peccati e dei vizi se ci fate caso, è tutto al contrario. Prendiamo l’invidia, ad esempio. Vi sarà sicuramente capitato di vedere condivisi quei link in cui si millanta la presenza di occhi invidiosi che dovrebbero lodare senza saperlo un contatto che ci sembra alquanto improbabile possa suscitare invidia. Su Facebook non c’è l’invidioso, c’è piuttosto quello che si sente perseguitato dall’invidia e lo esprime piuttosto di frequente con link ad hoc, foto e aggiornamenti di stato in cui inizia proprio ad interloquire con questo fantomatico personaggio dantesco, al punto che si inizia a dubitare della sanità mentale della persona in questione.
Anche la gelosia è a parti invertite. Generalmente si è gelosi di un’altra persona ma su Facebook capita di essere di frequente gelosi di se stessi, dei propri dati, della propria vita condivisa con persone che ci si è pentiti di aver accettato come amici un secondo dopo aver approvato la richiesta. Ed allora inizia la lotta per la privacy, autorizzazioni, gruppi, chi resta fuori, chi resta dentro, chi deve sapere questo, chi non deve sapere di noi quest’altro.
A dominare è sicuramente la superbia: il desiderio di essere superiori agli altri, di guadagnare più punti. Chi si diverte di più ad una festa e pubblica più foto, chi partecipa a più eventi ed ha il dono dell’ubiquità a giudicare da quanti ne ha confermati lo stesso giorno alla stessa ora, chi ha più amici, chi ha lo status sentimentale più profondo, chi pubblica che “se ne va in vacanza alla faccia degli altri”, insomma basta poco, se non si hanno i contatti giusti, perché la condivisione si trasformi in una odiosa competizione che allontana dalla giocosità, dal clima informale, dalla rilassatezza, dall’ironia e dalla voglia di interagire fine a se stessa, di comunicare con leggerezza ed immediatezza, spontaneità, a cui meglio si presterebbe la piattaforma.