Fare il veterinario è sempre più difficile e non solo per il corso di studi, impegnativo e decisamente lungo: la professione è estremamente inflazionata (in Italia sono ben quattordici le facoltà universitarie, contro una media europea di tre), e il mercato è saturo e per di più esigentissimo:” Oggi il cliente richiede prestazioni sempre più sofisticate: tac, risonanze magnetiche, interventi chirurgici di altissimo livello” ci dice Oscar Grazioli, veterinario e giornalista.
I suoi casi più avvincenti sono: orsi malmessi, scimmie malandrine, gatti altruisti e lucertole profumate, che è possibile trovare – in Quello che gli animali non dicono (edizioni Età dell’Acquario, pp.. 280, euro 18), Grazioli ci spiega che il bravo veterinario deve essere anche un ottimo psicologo: i suoi pazienti infatti non possono parlare e naturalmente rispondono alla domanda “Allora dove ti fa male?” solo squittendo, nitrendo, o starnazzando, ed è solo dai padroni che è possibile ricavare tutte le informazioni utili soprattutto quelle più nascoste. “E spesso i proprietari minimizzano i sintomi per non ammettere di aver sbagliato“. Inoltre di errori se ne fanno tanti anche se in rete, vi è un’abbondanza di informazioni. E’ questa la motivazione per cui le conclusioni , non sono sempre delle migliori:” Non è raro il proprietario che entra in ambulatorio avendo già in mente una diagnosi letta in un sito internet. E i più avventati magari hanno già somministrato all’animale cure peggiori del male: ho visto un pitone in preda alle convulsioni perché il proprietario gli aveva spruzzato così tanto antiparassitario da intossicarlo“.
Sbagliamo soprattutto quando antropomorfizziamo gli animali. “Prendiamo le testuggini. Spesso chi le possiede compra leccornie dannosissime per le loro esigenze esclusivamente vegetariane, provocando eccessi proteici e carenze vitaminiche ” e rincara la dose Grazioli riguardo i maniaci della dieta: “Tendono a proiettare il salutismo sui loro animali, ma, per esempio, il metabolismo felino si basa sui grassi, il sessanta per cento di ciò che un gatto mangia“.