Sono anni e non si può dire che Paolo Pejrone non ce l’abbia raccontato, il punto è che spesso siamo distratti, indaffarati e pensiamo a tutt’altro. Nel suo libro del 2009, La Pazienza del giardiniere (Einaudi, pp.198, euro 16), raccoglie una serie di articoli, esempi e rubriche uscite nel tempo. Gli ultimi capitoli, erano tutti incentrati all’elogio (oserei aggiungere estatatico!) dei corbezzoli americani e di come questi sopravvivano a lungo ed indenni attraverso le estati torride, mantenendo le foglie in ‘salute’, verdi e pronte a riempirsi di bacche rosse e per poi esplodere in un bellissimo bianco-rosato a grappoli e molto simile al mughetto.
Molto probabilmente e se ne può facilmente dedurre dato che si trattava delle pagine finali, desiderosi di conoscere tutto, per poterlo coltivare, ci sia mancata la concentrazione, non avevamo compreso però quanto sarebbe stato gradevole avere un corbezzolo americano o Arbutus menziesii (dal canadese Archibald Menzies, che lo individuò alla fine del Settecento), delle cui bacche i nativi si sono nutriti per secoli.
Non è solo robusta e resiste alla siccità, ma questa pianta , che in America chiamano madrone, cresce in fretta e supera di parecchio il nostro corbezzolo sia in altezza che in generosità delle ramificazioni.
Chi dovesse vederlo da lontano, se non bada al tronco rossiccio e liscio, potrebbe considerarlo tranquillamente una giovane quercia ma dalle foglie più grandi, lunghe tra i sette e i quindici centimetri, e più larghe, dai quattro agli otto.
D’autunno si ‘impacchetta’ di bacche rosse, a primavera ci regala una fioritura bianca, d’estate non vuole acqua, d’inverno non soffre. Insomma è la pianta perfetta.
Insomma tutto quello che ci viene richiesto, è un pò di spazio, sole in abbondanza e magari…la pazienza di cercarlo a Pistoia, culla del vivaismo in Italia, così potremmo piantarlo in giardino, esattamente come ha fatto Pejrone a Revello, Saluzzo, in Piemonte.
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