Freud in un certo senso oltrepassa e “sublima” la cultura del Novecento. Infatti il suo percorso teorico, culturale e scientifico, è diventato parte integrante della nostra sensibilità, totalmente metabolizzato dall’interpretazione che diamo del mondo e gli eventi dell’anima.
Il gesto di Freud, ha dunque, concepito un diverso modo di relazionarsi alla della memoria, alla soggettività, al nostro intimo sentire, è come se c’avesse estromesso dal possesso della nostra casa, infranto la nostra innocenza.
La nostra identità dunque e il principio che la sottende, è il fragile risultato di un complesso e articolato processo psichico. Freud interroga ciò che è altro da sè, si incammina nell’altrove, scandaglia la soggettività. Tutte le conoscenze che nutrono le nostre certezze vacillano. E qui è la modernità sconvolgente del pensiero freudiano.
Freud è un protagonista imprescidibile della cultura e della scienza del Novecento, anche se rimane defilato, o meglio: è lasciato ai margini per le sue origini ebraiche, così importanti per il suo percorso intellettuale e poco integrato nel tessuto accademico dell’epoca, proprio per il fastidio e i disagio che vi arrecava.
Molte volte si tralascia che egli, negli ultimi quindici anni della sua vita, li ha dedicati ad indagare con gli strumenti teorici che aveva affinato, il “disagio della civiltà”: un disagio morale, sociale, istituzionale, politico, che comprendeva tutti i piani dell’essere, realizzandosi infine in guerre terribili, totalitarismi, campi di concentramento.
Il suo è uno sguardo che va lontano, oltre, che lambisce l’umanità, la rende partecipe, consapevole, senza per questo farsi verità, senza voler essere una visione del mondo.
La psicanalisi infatti è per lui, “portatrice di civiltà”. E la teoria mai disgiunta dalla pratica, è animata da una profonda passione etica.
Ci chiediamo spesso, se il suo pensiero sia attuale o inattuale. Di certo è “empirico”, in quanto ogni sua conclusione, parte dalla concretezza dell’osservazione scientifica e quindi da “fatti” psichici da lui stesso definiti come “entità a stento afferrabili”.
Freud rende la parola centrale, efficace, capace di sortire realmente dei cambiamenti, concetto su cui tra l’altro ha insistito Jacques Lacan, grande psicanalista freudiano.
Ed è appunto nella psicanalisi il messaggio rivoluzionario, nell’ascolto, nel racconto, nell’interpretazione e nel transfert.
Oggi è ancora valida, è più che valida l’analisi freudiana ma solo se si tratta realmente di psicanalisi. E quindi se la parola ancora è considerata la chiave di volta della soggettività, l’unica in grado davvero di penetrare la soggettività, realizzare e trasformare questa che è l’intelaiatura più importante.
La bellezza del pensiero freudiano è quella di non essere un sistema teorico chiuso, dogmatico. Oggi invece si tende ad accondiscendere l’enfasi scientista che consacra la neuroscienza e la neurobiologia ad un ruolo onnipotente. Ciò che è singolare però è che Freud all’inizio, era partito proprio da lì.
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