La frase del titolo potrebbe essere fraintesa e quindi è giusto mettere subito in chiaro qualche informazione derivante da studi recenti. Lo studio di cui parliamo è italiano ed è stato svolto dall’Istituto di di fisiologia clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa (Ifc-Cnr), in collaborazione con il dipartimento di Trapiantologia epatica dell’universita’ di Pisa. Credere nella religione aiuterebbe a sopravvivere maggiormente in caso di trapianto.
La ricerca è stata pubblicata anche sulla rivista specifica Liver Transplantation ed i dati sono chiari. I pazienti convinti nella religione che hanno creduto di superare “l’ostacolo” del trapianto sono sopravvissuti per un totale di 93,4%, con una mortalità di soli 6,6%. Coloro che non ci credono sono sopravvissuti solo nel 79,5% dei casi.
A spiegarci l’avvenuto è lo psicologo Franco Bonaguidi, che parla di una differenza: “statisticamente notevole, mentre la probabilità di ‘falso positivo’, cioè che sia stata rilevata una differenza inesistente, è del 2,6%, nettamente inferiore alla soglia convenzionale del 5%. Ciò è cercare attivamente l’aiuto di Dio. Ovviamente non si identifica con una religione confessionale, ma che è un aspetto intimo della personalità che porta a vedere l’incontro con la malattia grave come un momento di rielaborazione della propria esistenza, dei propri valori e di rivalutazione della componente spirituale e trascendente“.
Per portare a termine l’indagine sono serviti 179 pazienti tra il 2004 ed il 2007 ed a far testo è stato un Questionario sulla religiosità del paziente.