Stiamo vivendo un momento molto particolare per il nostro Paese. In tempi in cui si parla di rettifica dell’art. 18 della Costituzione Italiana, in cui i giovani ne hanno le tasche piene di contratti a tempo determinato e di instabilità del proprio futuro lavorativo, non si può non pensare ad una patologia che colpisce gran parte della popolazione giovanile, soprattutto in Lombardia. Si tratta della cosiddetta Sindrome del lavoratore precario. Coloro i quali si trovano in una situazione “non chiara” a livello lavorativo sono maggiormente soggetti a soffrire di disturbi d’ansia e da depressione.
Sia ricerche australiane che anglosassoni hanno confermato quanto la disoccupazione e la precarietà del lavoro renda i giovani laureati a rischio depressione. Dopo aver portato a termine i propri studi con dedizione e impegno diventa frustrante per i giovani non entrare a far parte del mondo del lavoro con una situazione stabile. Anzi, la continua insicurezza generata da contratti di collaborazione, stage mal pagati ed esperienze poco formative, non fanno altro che accentuare ansie, frustrazioni e incertezze. Questa condizione, se si protrae per lungo tempo, può portare ad una vera e propria patologia: la sindrome da lavoro precario, appunto. Per quanto riguarda i sintomi fisici, i giovani riscontrano disturbi come l’insonnia, determatiti, tachicardie, gastriti e coliti, oppure attacchi di panico. La sensazione che assale i giovani diventa il pericolo e l’inadeguatezza. Paola Vinciguerra, infatti, esperta di psicologia e responsabile dell’Unione Italiana per gli attacchi di panico ha sostenuto:
Non essere in grado di poter progettare il proprio futuro finisce per creare una forbice ansiogena, che spesso trova uno sfogo somatico. In questa situazione, quello che si può fare è cercare di lavorare sulle proprie reazioni. I problemi legati alla precarietà sono seri, ma se si subiscono passivamente l’ansia aumenterà, in un circolo vizioso di crescente allarme, che bisogna saper riconoscere e interrompere.
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