Ci piace: Salome ha il coraggio di sfidare il regime, Sultana invece mette alla berlina la viralità dei turchi. Miss Undastood è fiera del suo velo, invece Lady Bitch prende le distanze dalle sue origini. Cosa hanno in comune? Sono donne, cantanti e musulmane e il genere musicale che portano avanti, l’hip hop sfida convenzioni sociali e religiose.
Di Salome, non si sa molto, l’unica cosa certa è che vive a Teheran ed è stata molto coraggiosa a pubblicare su Youtube un video a dir poco duro: Don’t Muddy the Water infatti, attacca molto pesantemente infatti la classe politica iraniana. In più va aggiunto che l’hip hop è ufficialmente bandito dalla Repubblica islamica (i pezzi è possibile reperirli solo su: reverbnation.com/salome).
Non meno energica è la battaglia di Sultana, la più nota artista dell’hip hop turco assieme ad Aziza A. Nasce e cresce ad Instabul e un suo pezzo: Kuflu Kalmaz, ironizza sul machismo turco. Il risultato è stato a dir poco infelice: la canzone è stata bandita dal Paese e in radio e Sultana non ha avuto altro rimedio che riparare negli Stati Uniti, dove le minacce che continuano a giungerle come echi lontanissimi ma non per questo meno spaventevoli, non fermano lei nè tanto meno il suo lavoro.
Il rifiuto alla cultura – anche se sarebbe più giusto parlare di subcultura – maschilista, è ciò che invece ha fatto sì che Reyhan Sahin, figlia di operai turchi di Brema, ostentasse in modo anche grottesco la propria sessualità. E così è diventata Lady Bitch Ray e ha fondato un’etichetta dal nome esplicito – Vagina Style Records – incollerendo (e subendo anche minacce) da parte della comunità turca in Germania.
Discorso diverso per quanto riguarda Miss Undastood, musulmana praticante di Brooklyn, che si presenta in scena con hijab, Corano e brani in cui però vi è una chiara presa di posizione sul diritto delle islamiche a non indossare il velo. E come non citare infine le inglesi Pears of Islam e le Poetic Pilgrimage, che usano strofe e gergo da rapper per inneggiare al Corano e a Maometto.
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