Le potenzialità delle nuove piattaforme di comunicazione simultanea nell’insegnamento sono infinite anche se ancora poco esplorate. Twitter, ad esempio, può conferire maggiore attrattiva ad una altrimenti noiosa lezione di storia. E ancora, può coinvolgere anche studenti con una personalità timida ed introversa in una discussione che altrimenti li avrebbe visti relegati in un angolo, zittiti dal timore di sbagliare o di dire sciocchezze. Un tweet abbassa al contrario le aspettative, scalando ad un tono più informale la conversazione, affidando ad opinioni ed impressioni elementari, non eccessivamente impegnative ed articolate, la propria partecipazione al discorso.
E’ la capacità degli insegnanti, più o meno aperti alle nuove tecnologie, a fare la differenza. Gli studenti le usano già, ci sono nati e cresciuti dentro. I docenti non di rado le demonizzano come fonte di distrazione, di deconcentrazione. Le difficoltà di comunicazione tra docente e discente sono insite proprio nei diversi strumenti comunicativi utilizzati. Se adolescenti e giovanissimi comunicano tramite i social network, le chat, le community è proprio attraverso queste piattaforme che si può raggiungerli.
Lo ha fatto, riscuotendo un certo successo, Enrique Legaspi, docente di storia in un istituto di Los Angeles. L’anno scorso Legaspi ha partecipato ad un workshop incentrato sui modi per includere Twitter nella didattica. Da allora lo utilizza alla Hollenbeck Middle School come parte integrante dell’organizzazione dei moduli didattici.
Nel video in calce al post ad esempio possiamo osservare lo svolgimento di una lezione sulla Prima Guerra Mondiale in cui anche gli studenti timidi sono stati più propensi a rispondere con un tweet a domande rivolte alla classe, come ad esempio ipotesi sul numero delle vittime del conflitto, dei prigionieri e così via discorrendo.
Twitter ha rivoluzionato il dibattito didattico sull’argomento ed ha aiutato Legaspi a conoscere meglio i suoi studenti, specie quelli più timidi e timorosi di sbagliare che si sono invece rivelati spesso molto brillanti nelle risposte.
Invece di vietare gli smartphone in classe, Legaspi ha invitato gli alunni del suo corso a portare computer e tablet personali da casa favorendo così un uso della tecnologia diverso dal gioco o dalla socializzazione che a questo punto, anche fuori dalle attività curriculari, i ragazzi, non è difficile intuirlo, saranno portati a proseguire.
Gli studenti meno abbienti hanno a disposizione i computer della scuola in classe. Le risposte vengono proiettate su una lavagna digitale e discusse insieme, annullando quell’indice puntato contro tipico delle interrogazioni tradizionali e permettendo comunque al docente di valutare i singoli studenti, magari anche a casa, a posteriori, rianalizzando i tweet di ogni singolo alunno.
Emblematico il caso di un ragazzo timido che prima veniva valutato come poco studioso: si è scoperto tramite i suoi tweet che era molto bravo in storia e che era solo la timidezza e la ritrosia a frenarlo dal partecipare alle discussioni in classe.
Al di là dell’applicazione di Twitter nella didattica l’esempio del professor Legaspi è a mio avviso illuminante anche per un altro motivo, spesso sottovalutato.
I ragazzi, e non solo loro, tendono a considerare priva di autorità una figura di insegnante ignorante sulle nuove tecnologie. Non si prenderà mai a modello un docente che non sa nemmeno cosa sia un social network, non lo sa usare e altro non sa fare che demonizzarlo perché in realtà incapace di comprenderne le potenzialità. Frasi come “Quello lì non capisce niente, non sa nemmeno usare Facebook” non sono rare da sentir pronunciare dagli studenti riferite ad un professore e sono il sintomo di una perdita di credibilità e di fiducia in un sistema scolastico che non è in grado di aggiornarsi e di stare al passo con i tempi, una scuola che non parla più il linguaggio della contemporaneità e non ne usa i suoi strumenti è una scuola morta.