Come ci si comporta quando una tragedia ci colpisce, una catastrofe sconvolge, distruggendo la nostra e altrui vita, dovremmo forse rivedere il nostro concetto di bene e male ? Di ciò che va fatto, che immorale da ciò che non lo è ? Purtroppo il risultato che emerge dallo studio di due celebri naufragi svela un’amara verità. Amare gli altri? Essere empatici? Prenderci cura delle persone? “Pensare – come ci insegna il vangelo – al prossimo tuo come a te stesso?”
Si…probabilmente è in questo modo, nel dolore estremo, l’uomo manifesta una grande capacità a solidarizzare e ad aiutare chi è più vulnerabile, in difficoltà ma solo e se avanza abbastanza tempo per salvare la propria vita.
Analizzando tragedie come il naufragio di due navi britanniche quasi identiche, il Titanic e la Lusitania, nel 1912 e il 1915, infatti studi recenti riportati dalla rivista dell’ Accademia Americana delle Scienze, hanno avuto sì conferma che in caso di emergenza l’uomo è capace di abnegazione, di atti ‘eroici’, ma solo se non costretto, dati gli eventi a pensare solo per se stesso e dunque non è messo alle strette, diversamente accade quando è disperato e nella condizione di decidere velocemente e quindi se le lancette dell’orologio corrono veloci.
Sostiene pertanto Benno Torgler dell’australiana Queensland University, che in casi estremi e di pericolo, prevale fortemente l’istinto di autoconservazione: e così infatti è andata sulla Lusitana, per cui il naufragio fu rapido e non diede alcuno scampo, calando a picco in pochi minuti e lasciando a tutti i passeggeri maschi, il tempo a mala pena per trarsi in salvo.
Il più tristemente conosciuto Titanic invece, andò giù in tre ore, anche se esiguo, rispetto all’altra, ci fu più tempo per organizzare un minimo soccorso, dando così la possibilità agli uomini di non lasciar da soli donne e bambini.
La statistica ci racconta che di questi sopravvissero rispettivamente il 53% e il 14,8% (SU 706 superstiti), contro l’1,1% e il 5,3% (su 764) della Lusitania.