Bisognerebbe parlare, più spesso e con emozione, di un sentimento: la tenerezza. La tenerezza è alla radice di ogni delicatezza, amicizia, forma d’amore, impresa. Di ogni rivoluzione del cuore. “Bisogna essere duri” scriveva Ernesto Che Guevara “senza perdere la tenerezza“. Così i bambini sono teneri per loro stessa essenza e lo sono anche quegli adulti, maturi utopisti che, come Oscar Wilde, dichiarano: “Una mappa del mondo che non preveda il Paese dell’utopia non merita neppure uno sguardo“. Infine, non c’è “colore del grano“, per dirla con Saint Exupéry ovvero non c’è memoria senza tenerezza. Non c’è, comunque ricordo d’infanzia, d’adolescenza, di giovinezza o di un passaggio importante della nostra vita che, rivisitato per conoscere meglio noi stessi, per indagare le nostre eperienze e i vissuti delle nostre relazioni con gli altri (da quelli più intimi a quelli che, pure, ci hanno fatto soffrire), non contempli, al fondo, una certa, dovuta, inevitabile tenerezza. Verso noi stessi, verso quelli che abbiamo amato o che, in qualche modo, anche dolorosamente, ci hanno coinvolto.
Così, proviamo tenerezza verso quello che, magari, poteva essere e non è stato (e, allora, la tenerezza si fa nostalgia). O, meglio e ancora, il sentimento della tenerezza ci coglie verso ciò che è accaduto, siamo stati o di come siamo, ineluttabilmente, ormai diventati. Teneri noi! Allo stesso modo, teneri sono tanti ricordi al pensiero dei quali non rinunciamo mai; teneri gli appunti che conserviamo; le lettere inviate e ricevute; i nostri disegni e quelli dei nostri figli; tenere le musiche che riascoltiamo; teneri i vecchi peluche che non abbiamo mai gettato via e i vestiti fuori moda che conserviamo perennemente appesi negli armadi.
Tenere sono, poi, le fragilità, le debolezze, le difficoltà, le conflittualità che impreziosiscono (e appesantiscono!) il valore delle nostre esperienze quotidiane, che ne esaltano i limiti, ne sollecitano l’umanità e ridimensionano le volgari pretese della perfezione. Così, tenero è l’errore commesso per errore, come tenero è colui che si mostra per quello che è. E, ancora, tenero è ciò che resta di una grande passione allorquando se ne accettano le ceneri e, al contempo, tenero è il gioco di chi si innamora un pò per giorno.
Tenero è un bimbo addormentato ma possono esserlo un giovane, un uomo o un anziano che riposano indifesi mntre qualcuno li veglia. O una donna o una bimba che sognano. Tenera è una cartolina che arriva all’improvviso come una carezza inaspettata; tenera è una telefonata inutilmente ansiosa; tenera è una preghiera che non abbiamo saputo reprimere; tenera è la raccolta di souvenir che abbiamo collezionato ossessivamente, dopo ogni viaggio, per tenere sotto controllo chissà quale paura o per conservare per sempre una magia. La tenerezza è quasi tutto nella vita. E’ il suo sapore buono, è la sua speranza di autentica umana dolcezza che la rende prezzemolo nel cibo quotidiano. La tenerezza è, poi, una spezia dell’anima, un condimento saporito ma, al contempo, leggero e necessario perché capace di dare, a ogni giorno, la sua dose di umano gusto delle cose, dei piaceri, dei cedimenti.
Tenera è la notte se il giorno è stato tenero di qualche sorriso, pensiero, ricordo, abbraccio, musica, gesto, parola, perdono, fragile ma solida umanità. Tenero/a è colui/colei che non rinuncia a credere, a sentire, a ricerare nella vita la dolcezza di certi delicati, morbidi, indifesi momenti; di certi atteggiamenti, di certe memorie, di certi oggetti, di certe soluzioni, di certi riti che creano legami che sono capaci di vincere le paure, le delusioni, i distacchi, il male di vivere. In nome di un “fil rouge“, cioè un fil di cuore del quale i cuccioli di ogni specie sono l’emblema.
sdji 24 Agosto 2010 il 15:19
L’immagine è stupenda