I capelli hanno sempre avuto un valore simbolico e si può dire che da quando cominciano le tracce scritte della storia, che nasce in uomini e donne è presente il piacere di ostentare la capigliatura, questo grande ornamento naturale.
Testimonianze sono giunte a noi già venti secoli a.C. , due documenti, il papiro di Harris e il papiro d’Orbiney, infatti possono essere chiamati a testimoniare di questi nostri lontani antenati.
Il papiro di Harris è un breve poema:
«il mio cuore è ancora una volta invaso dal tuo amore mentre solo metà delle mie tempie è coperta dalla treccia dei capelli. Corro in cerca di te … ma, ahimé, ora la treccia si è sciolta. Andrò a mettermi una parrucca e così sarò pronta in qualunque momento».
Non ci stupisce dunque che tutt’oggi i capelli e il modo in cui questi li curiamo, li tagliamo, li “allunghiamo”, abbiano per noi ancora un profondo significato, psicologico, di espressione del sé, di seduzione.
Secondo una ricerca inglese, ogni donna vuole una “testa nuova” in media 104 volte nel corso della vita. E la società in cui viviamo che ci impone di piacere.
Prendete Victoria Beckham, in ogni foto ha un taglio e un colore di capelli diverso: ha cominciato a quindici anni quand’era una Spice Girl e a 36 non ha ancora smesso. Prendete anche Irene Pivetti: l’ex presidente della Camera, è donna dalle molte vite (e dalle molte teste). La lettura tradizionale della smania che ci porta dal parrucchiere ha a che fare con l’autostima da conquistare, con l’arrivo di un nuovo partner.
Queste motivazioni però, da sole, non reggono più. Nessuna donna ha intenzione di cambiare 104 volte la sua vita. La ragione deve essere un’altra. Cosa siamo noi donne, oggi? E perché quello che siamo ci porta 104 volte dal parrucchiere? Molte vanno per allungarsi i capelli, per rinfoltirli. Lo fanno con capelli veri che altre si tagliano. Le povere si vendono i capelli, le ricche li acquistano.
Ecco una novità: il taglio della chioma racconta una disparità sociale e diventa un prodotto economico. Ma soprattutto racconta la nostra schiavitù.
Siamo schiave della nostra immagine. Per lavorare, per essere amate, per essere viste, le donne devono essere carine, alla moda, curate. Ciascuna di noi insegue un suo personale modello ma tutte condividiamo la stessa condanna: dobbiamo essere piacevoli da guardare. Non è un obiettivo facile da raggiungere. Il parrucchiere, che non è invasivo, né costoso come il chirurgo estetico, ci fa da alleato. Arriviamo ansanti e ripartiamo con il cuore in gola, ma abbiamo la testa nuova.
Purtroppo, siamo prodotti deperibili. Sul mercato dell’immagine, scadiamo all’incirca ogni mese e mezzo.