Com’è fatto un killer? Cosa si agita di così torbido nella mente di un uomo da portarlo a pianificare omicidi di massa come quello che ha sconvolto nei giorni scorsi la Norvegia ed il mondo intero per l’efferatezza, il fanatismo delle motivazioni, la pianificazione maniacale di ogni dettaglio del bagno di sangue? Una risposta prova a darla il dottor Stanton Peele, autore di 7 Tools to Beat Addiction, analizzando il profilo psicologico e la vita di alcuni serial killer. Stupratori che uccidono le vittime della loro violenza sessuale, dirottatori, terroristi, fondamentalisti: cos’hanno in comune? Quali tratti della personalità si distinguono in chi uccide spinto da diverse motivazioni più o meno folli?
E’ difficile tracciare un profilo netto perché i casi sono tutti piuttosto complessi e presentano un’evoluzione specifica che non si può certo schematizzare. Tuttavia, si può comunque delineare un gruppo di soggetti particolarmente a rischio di sviluppare comportamenti violenti ed istinti omicidi.
Il narcisismo patologico, ad esempio, che pure è in via d’estinzione dai disturbi della personalità, è un fattore di rischio non trascurabile. La voglia di diventare protagonista, di emergere da quella massa che tanto soffoca la propria immagine uccidendola. Altro elemento di disagio che può scatenare la follia omicida è una sessualità fortemente repressa che sfocia in comportamenti violenti e stragi atte ad imporre in modo estremo la volontà di prevaricare.
Non meno a rischio sono i soggetti invasi da un odio sociopatico ed i misogini, persone che evitano e disprezzano le donne: è questo il caso, ad esempio, di Mohamed Atta, uno degli attentatori delle stragi del’11 settembre, dipinto, insieme ai suoi complici, anche come un bullo, uno spocchioso, un narcisista, un viziato.
L’elemento preponderante che emerge dall’analisi di diversi casi di serial killer è la profonda solitudine che attraversa la vita degli stragisti. Narcisismo, sessualità repressa, bullismo, misoginia, sociopatia sono infatti tutti disturbi che portano all’isolamento o all’auto-emarginazione. Ovviamente, spiega l’esperto, non tutti gli uomini soli sono assassini di massa o cattivi. Ma certamente sono soggetti più a rischio di altri. Ecco perché è a queste persone che bisogna guardare per stanare il male, bisogna trovare il modo di contrastare la profonda solitudine che paradossalmente pervade, anche in forme sotterranee che poi esplodono in raptus, la società globale, incapace di ascoltare, percepire ed arginare il disagio dell’individuo.
Matteoilpisellone 2 Luglio 2013 il 18:02
he già la solitudine gioca brutti scherzi