Ne siamo tutti convinti, la vanità femminile, nonostante si riveli una pulsione irriducibile e sia diffusa in tutto il mondo e in tutte le donne e vada al di là delle distanze, delle diverse latitudini, indifferente ai regimi politici, non spieghi comunque come sia stato possibile che Teheran abbia da poco “scippato” a Los Angeles, il singolare primato di capitale della rinoplastica.
Una delle ragioni, può essere ad esempio nel fatto che le leggi della repubblica islamica oramai concedano alle ragazze di scoprire solo il viso e che questo sia il motivo per cui il sesso femminile si senta libero di ritoccare l’unica parte del proprio corpo che non comporta una condanna di tipo morale della società in cui vivono. Anche se è inevitabile che, senza la valorizzazione di una capigliatura vaporosa o di un pò di trucco, la bellezza punti tutto sulla regolarità dei lineamenti.
Ma l’estrema “severità” del comune senso del pudore, le sanzioni su ogni manifestazione della femminilità, l’ansia di vivere in un Paese dove l’accusa di adulterio e la conseguente lapidazione è continuamente dietro l’angolo, tutti questi nasi rifatti sono il segno di una resistenza che solo all’apparenza è piccola, frivola semplice tentazione alla modernità, e invece è urlo, fremito, desiderio insopprimibile di espressione e di libertà e di esserci e fortemente.
Perché le migliaia di ragazze che da un pò di tempo se ne vanno in giro per le cttà iraniane, mostrandosi fiere, mostrando in pubblico, il cerotto postoperatorio, raccontano una storia più interessante di un semplice capriccio di vanità.
E così, il corpo di donne e ragazze, continuamente mortificato, diventa il terreno di una battaglia molto più grande, affamata di diritti e di giustizia ed anche una ciocca che il velo non trattiene o una caviglia scoperta, diventano piccoli gesti di ribellione. E la bellezza, anche quella chirurgica, si fa solida di significato, un messaggio prezioso e in qualche modo sovversivo.