La sindrome di Ulisse è una serie di sintomi psicologici e fisici di cui soffrono le persone che sono costrette a scappare dal proprio paese per trovare un futuro migliore. È possibile definirlo lo stress dei migranti.
Cosa è la sindrome di Ulisse
Anche a non voler entrare politicamente nello specifico del fenomeno, bisogna ricordare che se delle persone decidono di mettersi in pericolo per raggiungere un luogo differente da quello in cui hanno radici, una motivazione esiste. E che una simile decisione non viene presa con leggerezza.
Purtroppo determinate dinamiche politiche portano a vedere il fenomeno dal punto di vista sbagliato. La sindrome di Ulisse, provata da chi è costretto a lasciare il proprio paese, comporta dal punto di vista mentale attacchi di panico, estraniamento, stati d’ansia e depressivi, tristezza e disistima. Dal punto di vista fisico nausea, disturbi cardiovascolari e psicosomatici.
Il primo a parlare della sindrome di Ulisse è stato lo psichiatra spagnolo Joseba Achotegui nel 2002. È stato addirittura premiato per le sue ricerche sull’argomento e i suoi testi sono tra i più completi su questo problema. La sindrome di Ulisse è anche conosciuta come sindrome dell’emigrante con stress cronico e multiplo e colpirebbe almeno il 15% dei profughi.
Una condizione data dall’incertezza sul futuro, alimentata dal non sapere dove dormire, dove mangiare e come lavorare. E dalla paura di essere sfruttati a livello lavorativo e a livello sessuale e sociale.
Mentre chi ha il privilegio di avere una vita, anche se difficile, comunque caratterizzata da certezze di tipo sociale vede i migranti come un disturbo. A causa del quale sono costretti a sostenere anche una ulteriore spersonalizzazione. Proprio da chi parte di chi questi privilegi li ha. Una spersonalizzazione che va a incidere in maniera sostanziale sull’esistenza della persona.
Alcuni ammortizzano meglio le conseguenze
Va anche detto che negli anni chi è costretto a lasciare la propria patria perché in guerra, riesce in qualche modo ad ammortizzare l’impatto delle conseguenze del suo spostamento. E questo avviene proprio perché lascia una condizione impossibile da vivere.
Alcuni migranti riescono a vivere meglio anche l’ulteriore carico di stress dato da una società che non li accetta. Per altri la sindrome di Ulisse è un ulteriore appesantimento di una condizione già difficile di per se stessa. Questa agisce in maniera preponderante sull’autostima, abbattendola in modo sostanziale. Forse tutti quanti noi dovremmo riflettere un po di più su quella che è la condizione dei migranti è ciò che li spinge a rischiare la vita per raggiungere le nostre coste.
E ricordare quando in periodi di crisi nei secoli scorsi anche noi italiani facevamo lo stesso. Lamentandoci di come venivamo trattati nei paesi nei quali sbarcavamo.