Molto spesso la nostra immaginazione ci spinge a credere ad un determinato avvenimento, spesso su basi assolutamente irrazionali. Tuttavia, il potere della suggestione è così forte che spesso la nostra paura ci spinge a mettere in moto una catena di eventi che ha come unico risultato proprio la realizzazione della situazione temuta. Si tratta delle cosiddette profezie che si auto-avverano.
Ad esempio nel mercato finanziario, se esiste una convinzione diffusa di un crollo imminente, gli investitori spesso perdono fiducia, vendono gran parte delle loro azioni e in questo modo causano realmente il crollo.
Pensiamo alla politica. Se alla vigilia di un voto politico un candidato dimostra esplicitamente sfiducia nella vittoria, ne può conseguire un aumento dell’apatia degli elettori: il risultato è lo scarso appoggi alla campagna, proprio come il politico temeva.
Nel campo letterario, l’esempio più calzante è la tragedia Macbeth di Shakespeare: tre streghe fanno una profezia al protagonista, secondo la quale diventerà re, ma dovrà stare attento al nobile Macduff. Macbeth prima di quel momento non aveva mai considerato l’uomo come una minaccia, ma la paura innesca una serie di reazioni a catena che porterà Macduff ad odiarlo e, in seguito, ad ucciderlo.
La psicologia riconosce l’esistenza di una distorsione del modo in cui percepiamo l’ambiente intorno a noi e che è legata alle nostre aspettative, tanto che ci comportiamo in maniera tale da poter confermare le nostre previsioni. Il modo in cui interpretiamo il mondo può influenzare il modo in cui l’ambiente stesso opera, per cui il risultato è una previsione auto-confermata. Se ci convinciamo di non piacere a qualcuno, adotteremo un atteggiamento scontroso e chiuso: in questo modo non saremo considerati realmente simpatici.
Tuttavia, questo meccanismo non è sempre negativo: la profezia può anche riguardare un cambiamento positivo. Nel 1974 il ricercatore Rosenthal ha messo in luce quello che poi è stato definito l’effetto Pigmalione: ad alcuni insegnanti di scuola elementare disse che un gruppo di bambini aveva riportato in un test d’intelligenza risultati migliori rispetto alla loro classe, anche se in realtà la distinzione dei due gruppi era stata puramente casuale. Dopo un anno scolastico Rosenthal rilevò che i bambini considerati più intelligenti avevano effettivamente il rendimento migliore: i bambini considerati come dotati avevano ottenuto gli stimoli necessari per sviluppare al meglio il loro potenziale.