Quando etichettiamo qualcuno come diverso, dobbiamo chiederci ma diverso da chi, da cosa, da quale regola? Il concetto di normale da cosa e da chi è stato stabilito e soprattutto a scapito di quali libertà qualcuno si è arrogato il diritto di stabilire cosa rientri nei canoni giusti e cosa rappresenti una deviazione, uno scarto dalla norma? A dispetto dell’invito alla tolleranza come unica strada di apertura verso una convivenza pacifica, una società improntata al multiculturalismo, alla coesione non di una normalità affiancata da tante minoranze “sopportate” ma di tante diversità tutte uguali, si sta deviando nuovamente e pericolosamente verso il vicolo cieco di un noi, gli ugualmente normali, contro loro, i diversi, quelli che se gli va male sono emarginati, se invece siamo clementi ne tolleriamo la presenza (ma che buoni!).
Dove loro sono i diversi da noi, diversi nel modo di fare, nell’orientamento sessuale, nella cultura, nelle idee, nella religione, negli usi e costumi, nel modo di vestire, comprare, vivere, amare. E’ la paura di ciò che è estraneo, di ciò che ignoriamo e conosciamo solo attraverso gli stereotipi a farci precipitare nella cecità dei fondamentalismi.
Un io che vive nel mondo, capace di aprirsi alla varietà straordinaria del mondo, è un io forte che non ha paura di incontrare l’altro, l’altro che pure è in noi, più forte e vivo che mai e ci spaventa nel suo essere così uguale a coloro che consideriamo i nostri antagonisti. Delle altre culture, religioni, orientamenti sessuali cosa sappiamo? Quello che ci arriva filtrato dagli stereotipi di certi giornali, carta straccia, dai titoli a caratteri cubitali che sottolineano che una donna è stata stuprata da un rumeno, che i trans si drogano, che i musulmani sono terroristi.
Oggi è il rumeno il nemico, ieri ricordate erano gli albanesi, ma quando una ragazza viene stuprata da un italiano, magari un giovane alcolizzato e drogato della città bene, la nazionalità non conta nel dare la notizia, non è un elemento determinante. Perché? Perché anche inconsciamente ed è questa la cosa che fa più paura, ci si è schierati con le parole, parole che hanno un grande potere nel costruire ideologie, dalla parte della propria cultura, origine, identità geografica perdendo di vista l’identità sociale, quella che studierebbe l’origine di un evento così drammatico e violento come può esserlo uno stupro mettendo da parte la cartina delle razze e indagando su quelle costanti comuni dell’umanità, quelle che ci rendono diversamente uguali: il male, la violenza, il crimine, il disagio sociale, l’emarginazione, le dipendenze, la debolezza, la rabbia, l’aggressività. Così forse ci saremmo accorti che sia lo stupratore italiano che quello rumeno erano entrambi sotto l’effetto di droghe e alcol, entrambi senza uno scopo nella vita, affogati nella scia della violenza, ci saremmo accorti di quanto sono terribilmente e spaventosamente uguali e avremmo dovuto iniziare a combattere il nemico che è in noi, non l’altro.