Videogiochi e violenza? Forse qualche legame c’è…

di Luca Fiorucci 0

L’argomento è stato spesso al centro del dibattito, e si è tornati a parlarne sopratutto dopo le stragi avvenute a luglio in Norvegia, dal m0mento che il killer, Andres Breiving Breivik, aveva detto di essere un appassionato di videogiochi, e questi erano stati così additati come possibili cause scatenanti di simili esplosioni di follia e violenza efferata. In realtà, per fortuna, la stragrande maggioranza degli amanti di tali videogiochi, è persino superfluo ribadirlo, ha ben poco a che vedere con eventi sanguinosi o violenti.
Un recente studio condotto dall’Università di Bonn, in Germania, sembra però riavvalorare la tesi per la quale vi sarebbe un legame tra i videogames, specie quelli più violenti, e, appunto, la violenza. In particolare, chi trascorre molto tempo in questo modo svilupperebbe modi diversi di reagire a stimoli emotivi anche negativi, quasi come si scambiasse la realtà per la semplice finzione del gioco.

La ricerca è stata condotta su due gruppi di ragazzi, di età compresa fra i 20 e i 30 anni, uno dei quali comprendeva appassionati di videogiochi, abituati a giocarvi in media per 15 ore a settimana, l’altro persone che solitamente non vi giocano. A entrambi i gruppi venivano mostrate immagini cruente, tratte sia da questi giochi che dalla vita reale, come foto di incidenti o di vittime di disastri.
I ricercatori, quindi, monitoravano con uno scanner le reazioni a livello cerebrale dei soggetti. Si è quindi appurato che, alla vista di tali immagini, nei soggetti di entrambi i gruppi vi era una forte stimolazione dell’amigdala, la parte del cervello che sovrintende le emozioni, specie la paura, e quindi sia gli appassionati di videogames sia gli altri rispondevano in maniera simile alle stesse emozioni. Vi era tuttavia una differenza significativa nella stimolazione dei lobi frontali di sinistra, che si attivavano molto meno nei ragazzi “giocatori” rispetto a quanto avveniva negli altri. Questa, invece, è la parte del cervello usata per il controllo della paura e delle emozioni. Christian Montag, uno degli autori dello studio, ha quindi spiegato: “Il primo gruppo di persone non risponde in maniera forte alle immagini reali scioccanti, perchè sono soliti vederle nella loro quotidiana attività al computer. Si potrebbe anche dire che sono più desensibilizzati rispetto all’altro gruppo“.

L.F.

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