Xenofobia, perché abbiamo paura del diverso

di Redazione 0

Ci sono storie che emergono nella loro tragica e sanguinosa evidenza, come sta avvenendo in questi giorni con la strage compiuta in Norvegia da un fondamentalista cristiano, proclamatosi vendicatore di un’identità sociale ben definita contro il multiculturalismo. E poi ci sono storie che esplodono un solo colpo che subito ripiomba nel silenzio assordante dell’indifferenza. E’ il caso della morte di Balbir Singh Sodhi, assassinato il 15 settembre del 2001, in Arizona, da un fondamentalista americano che voleva vendicare le stragi dell’11 settembre.

Omicidi separati da continenti, da dinamiche ben differenti eppure così tremendamente vicini perché attraversati dallo stessa matrice violenta: la xenofobia, la paura del diversoBalbir è morto semplicemente perché era differente in una nazione in preda ad una paura comune, un odio dell’altro che si concretizza in una massa feroce ed indistinta di avversione, risentimento, un terrore che canalizza la tensione verso un nemico sconosciuto, temibile perché non si sa bene cosa ci si può aspettare da lui.

La paura dello straniero, del diverso è come cablata nella mente umana ed emerge nei periodi di stress e di forti tensioni sociali, come in seguito ad un attentato ad esempio. Nei cinque mesi successivi all’11 settembre negli Stati Uniti si sono registrati ben 1,700 episodi di violenza ai danni di musulmani. Molti bambini a scuola venivano presi in giro dai compagni, additati come il male e come terroristi all’interno di una società che pure ha fatto del melting pot la sua bandiera.

Ma quando si ha paura non si ha più voglia di mescolarsi indiscriminatamente agli altri, si ha voglia di operare dei distinguo tra bene e male, di schierarsi dalla parte di chi si crede stia sulla difensiva esattamente come noi. Da lì alla creazione di schieramenti ideologici il passo purtroppo è breve.  Abbiamo una scelta, ce n’è sempre una: scegliere di non cedere alle nostre tendenze xenofobe, di abbattere i pericolosi muri di un noi giusto contro un loro sbagliato. L’unico modo per farlo è cominciare ad ammettere di avere dei pregiudizi, di esserci costruiti degli stereotipi (l’arabo-terrorista; il rumeno-stupratore…). Un nemico visibile, infatti, è più facile da sconfiggere. Confessare a se stessi di avere una visione fortemente parziale ed offuscata dell’altro è il primo passo per guardare oltre la diversità che si fa avversione. E’ stato dimostrato, ad esempio, che giocare una partita in una squadra mista, combattendo per raggiungere gli stessi obiettivi, abbatte i pregiudizi, unisce. Capire che il male ed il bene non fanno parte di un gruppo distinto, sono fili emotivi che attraversano l’intera umanità, è importante per comprendere che si può stare insieme anche da diversi senza necessariamente schierarsi su versanti contrapposti o combattere battaglie differenti. Fuori dalle trincee che scava la paura c’è un altro uguale a noi che può metterci in pericolo oppure… può salvarci.

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